venerdì 27 gennaio 2023
Solastalgia, termine recente: dice l’abbattimento provocato da un forte senso di disappartenenza rispetto al luogo in cui si vive. Siamo a casa, lì dove più dovremmo sentirci a casa, ma non sentiamo alcun piacere, alcuna familiarità: eccoci solastalgici. Siamo a casa, ma invasi da un’acuta, straziante nostalgia di altri paesaggi, amici e più riconoscibili, non deturpati ed estranei come quelli in cui ci tocca in sorte di abitare. Il neologismo si deve al filosofo ambientale australiano Glenn Albrecht; riguarda in modo precipuo il rapporto che si ha con la natura intesa come ambiente. Data l’ansia diffusa per i cambiamenti climatici, nella stessa natura e in ogni sorta di frangente ambientale noi non ci riconosciamo più. E lo sguardo posato intorno sia sugli skyline delle città, o su foreste e mari, sugli animali, financo sugli altri esseri umani, sempre è sguardo sghembo, alterato, distopizzante. La nostalgia è del “solace”, del conforto: quello a mancare. Ritrovarlo con forme di impegno per la causa ambientale è una strada, un’altra, ricreare in forma artistica il paesaggio. Allo sguardo per primo il compito di ritrovare conforto. Individuare in quale preciso punto di noi stessi il guardare si è spezzato, e di lì ricominciare, rieducare l’occhio alla fiducia di un orizzonte. © riproduzione riservata
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