«Sina», il re dell'acqua ucciso nel fango della guerra
mercoledì 7 novembre 2018
La Grande Guerra, terminata cent'anni fa, rappresenta uno dei momenti più atrocemente simbolici della bestialità umana. Oltre sedici milioni di persone persero la vita in un conflitto combattuto secondo regole che oggi fatichiamo perfino a immaginare: le "spallate" per esempio, azioni disegnate a tavolino dove alcuni esseri umani (Ufficiali) decidevano che decine, centinaia, migliaia di altri esseri umani (carne da macello) sarebbero stati deliberatamente sacrificati per spostare di qualche decina di metri la linea di un confine fisico. All'inizio, a causa di una indecifrabile follia, la gente era persino felice di andarci, perché quella, come tutte le guerre, era raccontata come rapida, necessaria e giusta, un ideale verso cui tendere. Ma erano bastati pochi mesi per trasformarla in realtà: guerra di posizione, vita in trincea, fango, neve, topi, carne umana putrefatta di uomini che saltavano per aria dilaniati, pallotte dei cecchini che fischiavano sopra la testa a ricordare, in ogni minuto di ogni giorno, che la differenza fra la vita e la morte stava in qualche centimetro o in qualche secondo di disattenzione. Il mondo dello sport (in un momento in cui tanti sport incominciavano ad affermarsi nel mondo) non poteva restarne fuori.
Partirono soldati tantissimi sportsmen già famosi o che famosi sarebbero diventati: Enzo Ferrari, Tazio Nuvolari, Vittorio Pozzo, il lottatore Giovanni Raicevich considerato "l'uomo più forte del mondo", o il formidabile schermidore Nedo Nadi. Loro tornarono vivi dal conflitto e ripresero a vincere nelle rispettive discipline. Tanti, tantissimi, non tornarono. La rivista "Lo sport illustrato e la guerra", era dedicata quasi esclusivamente a raccontare le imprese degli atleti italiani al fronte o, tristemente, a pubblicarne il necrologio. Fu questo il caso, di Giuseppe Sinigaglia, campione di canottaggio. Un gigante di 194 centimetri, per 100 chili di peso, che aveva esordito nella lotta, ma che aveva poi scoperto il proprio talento sulle acque del suo Lago di Como. Forte di molti successi in Italia Sina, come lo chiamavano tutti, era pronto per i Giochi Olimpici del 1912. Tuttavia per i Giochi di Stoccolma la delegazione italiana disponeva di un budget di sole 30.000 lire. A qualcosa occorreva rinunciare e la scelta cadde proprio sul canottaggio. Sinigaglia non poté far altro che leggere sui giornali del trionfo dell'inglese Wally Kinnear, appuntandosene il nome. Nel 1914 gli rifilerà 16 secondi di distacco sui 4.000 metri del Gran Premio delle Nazioni, a Parigi sulle acque della Senna.
Sinigaglia, nel suo momento migliore, parte nel luglio di quello stesso anno, per Henley-on-Thames. Il suo obiettivo è la prestigiosissima Diamond's Sculls. Un vero e proprio campionato del mondo dove si rema per 2.112 metri controcorrente sul Tamigi. Chi vincerà quella Royal Regatta riceverà la coppa d'oro direttamente dalle mani della regina Maria di Teck, nonna dell'attuale regina Elisabetta. La formula è affascinante: tutti scontri a eliminazione diretta, uno contro uno. Sinigaglia batte tutti, uno dopo l'altro, fino alla finale contro l'inglese Stuart che viene da Cambridge, un posto dove di canottaggio se ne intendono. L'inglese parte fortissimo, ma Sina incredibilmente rimonta. Stuart, stremato dalla fatica e schiumante dalla rabbia collassa dopo il traguardo mentre l'italiano riceve la coppa d'oro. Era il 4 luglio 1914, sei giorni dopo l'attentato di Sarajevo. Sinigaglia non pensa ad altro che ai Giochi Olimpici dell'estate del 1916 già assegnati a Berlino, ma il mondo si ferma, per scannarsi. Sina parte militare e nell'estate del 1916 non troverà la gloria eterna di una medaglia olimpica, ma la morte. Il 10 agosto spirerà dopo un'azione eroica in trincea, colpito a morte da una pallottola che entrerà nel suo corpo sopra l'inguine per uscirgli dalla schiena, sul Monte San Michele a Sud di Gorizia, cima 4. Il Granatiere di Sardegna Giuseppe Sinigaglia, probabilmente il più grande canottiere italiano di tutti i tempi, lascerà questo mondo tra le braccia di un tenente sussurrando: «Datemi un po' di acqua del mio lago».
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