sabato 31 luglio 2004
OTu, Signor delle piccole cose,/ del mio giorno perduto e sera arsa,/ del più inavvertito mio pensiero,/ guardami l'atto che non si propose,/ guarda la mia preghiera così scarsa,/ e questo pentimento mai intero. Nel suo bel saggio sulla "ricerca di senso" nella poesia italiana del Novecento, intitolato La frontiera della parola (ed. Studium), Guglielmina Rogante ripropone un poeta ora dimenticato, Luigi Fallacara (1890-1963), segnato da una sofferta religiosità. Noi abbiamo scelto solo alcuni versi di una poesia orante rivolta al "Signor delle piccole cose". È suggestivo questo riferimento al Dio della semplicità e non della gloria, a colui che dall'alto del suo infinito si china - come dice il Salmista - sui «piccoli del corvo che gridano a lui» per la fame (147, 9). Egli è attento ai nostri giorni modesti che non saranno mai ricordati in nessun libro di storia se non nel suo misterioso "libro della vita". Egli riesce a cogliere anche il nostro più fuggevole pensiero, che nessuno mai conoscerà. Egli sa registrare purtroppo anche le nostre omissioni, cioè "quell'atto che non si propose" e che forse poteva cambiare la nostra vita o quella di un'altra persona. Egli accoglie anche le nostre scarse e distratte preghiere, rivelandosi più generoso del nostro merito, e penetra nella nostra coscienza per sostenere quel palpito di pentimento che siamo inclini a smorzare. La poesia di Fallacara continua evocando anche le foglie, il polline dell'ape, la stella, il fiore nascosto, l'acqua: sono mille e mille i segni del "Signor delle piccole cose" che è sempre con noi, nel silenzio e nell'intimità.
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