sabato 16 settembre 2006
Ognuno brucia la sua vita e soffre per il desiderio del futuro e per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per sé ogni ora e gestisce ogni giorno come se fosse una vita, non desidera né teme il domani. Guardo l'intestazione dell'agenda di oggi: mi si dice che del 2006 ho già consumato 259 giorni e che ne ho a disposizione altri 106. Da un lato, affiora la nostalgia del passato (pensiamo solo alle vacanze recenti, a quella quiete, alle buone letture, alla serenità); d'altro lato, però, contano gli impegni che ci attendono e l'agenda è appunto il simbolo di questa oscillazione tra passato e futuro. La realtà che meno ci coinvolge è il presente, anche perché - come già ammoniva s. Agostino - se appena lo consideri, già ti sfugge dalle mani. Così l'uomo si rassegna a vivere sempre legato al «già» e al «non ancora», come suggerisce Seneca nel testo sopra citato dal De brevitate vitae. Una parabola giudaica narra che l'angelo Gabriele fu inviato da Dio con un tesoro da destinare all'umanità. Ma, a sorpresa, l'angelo ritornò a Dio col dono dicendo: «Non ho trovato nessuno che mi badasse perché tutti avevano un piede nel passato e l'altro nel futuro e non avevano il tempo di fermarsi e ascoltare quello che dovevo loro dire e dare». Nostalgia e fretta sono due facce dello stesso modo con cui non si vive il senso genuino dell'esistenza che è oggi, presenza, realtà quotidiana. È questo il vero tempo che è tra le nostre mani: forse è modesto e fatto di piccole cose, eppure è proprio questo l'orizzonte in cui si deve far frutto, impedendo alla vita di essere sospesa, bruciando e lasciando solo fumo.
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