domenica 23 settembre 2007
L'umorismo è l'arte di sfiorare senza insistere.
Perché mai la barzelletta dev'essere quasi sempre greve? Perché la satira deve sconfinare nell'aggressione? Perché l'ironia deve trasformarsi in sarcasmo? Perché la battuta, soprattutto se televisiva, dev'essere volgare o sguaiata? Sono interrogativi scontati che affiorano spontaneamente se consideriamo la definizione di umorismo che ho sopra citato e che è stata coniata dal filosofo francese Vladimir Jankélévitch (1903-1985). Non c'è bisogno di insistere su questo tema perché è ormai davanti agli occhi e nelle orecchie di tutti; anzi, ciascuno di noi è stato un po' colpito e sporcato da questa abitudine all'eccesso, per cui non ci si diverte più con levità ma in modo pesante e scomposto.
Io, però, vorrei assumere la frase evocata solo per raccogliere quel verbo, «sfiorare», un vocabolo ormai desueto non tanto nell'uso quanto nella sua sostanza di significato. La televisione, infatti, ci ha abituato a mostrare tutto, senza limiti di pudore o di rispetto. Si deve sempre calcare la mano e giungere fino all'estremo sia per quanto riguarda il sesso, sia per la violenza, sia per ogni altra dimensione umana.
Si è, così, persa la bellezza dell'eros vero che è solo allusione; si è smarrita la pietà che è delicatezza e compassione; si è cancellato il riserbo che è finezza.
Non si accenna più, si vuole solo descrivere tutto; non si lambiscono i confini ma
si invade ogni spazio in modo grossolano; non si rasentano le pareti della casa ma si vuole assaltarne l'intimità. E molti cercano coscientemente questa impudente ostentazione di sé, senza dignità. Ecco perché è necessario ritrovare il verbo «sfiorare».
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