giovedì 6 dicembre 2007
Un uomo può ignorare di avere un cuore; ma senza cuore, come senza religione, un uomo non può vivere.

Parole di un grande e "monumentale" scrittore russo, Tolstoj (chi non ricorda il suo Guerra e pace o Anna Karenina?). Nei suoi libri spesso questa frase ha una dimostrazione nelle vicende di vari personaggi che o sono senza cuore, gretti come l'avvocato Karenin, il marito di Anna, o depravati e disonesti come i nobili Kuragin, oppure sono puri, generosi, fedeli come la Natascia di Guerra e pace o il semplice soldato-contadino Platon Karataev dello stesso romanzo. Non di rado ai nostri giorni si esaltano figure capaci di essere impassibili e insensibili, pronte a passare indifferenti davanti alla sofferenza altrui, cinici nel programmare il proprio successo, anche a costo di calpestare ogni morale
e ogni rispetto.
Ebbene, Tolstoj ci ricorda che non ha senso una vita senza il fremito della coscienza e senza il motore interiore di una fede. Certo, il cuore è un simbolo per indicare tante cose, compresa anche l'istintività o il sentimentalismo vago e sdolcinato. Ma nel suo significato più autentico è la vera cartina di tornasole dell'umanità. Bisogna aver paura di una persona senza cuore perché è pronta a tutto: straccia non solo i sentimenti altrui, ma perde anche ogni dignità propria. Un ecclesiastico
che era pure un uomo politico francese del '600, il cardinale di Retz, alla fine della vita doveva confessare che «nelle grandi cose lo spirito non è niente senza il cuore». Ritroviamo, allora, questo battito dell'anima che si intreccia - come ricorda Tolstoj - con la religione e, tra le molteplici reazioni che il cuore genera, non dimentichiamone una forse minore ma significativa: la tenerezza dolce e delicata, sobria e intensa.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: