sabato 27 dicembre 2003
Hai ottenuto quello che volevi/ da questa vita, nonostante tutto?/ Sì./ E che cosa volevi?/ Potermi dire amato, sentirmi/ amato sulla terra. È morto a 50 anni il 2 agosto 1988 a Port Angeles (Washington) lo scrittore americano Raymond Carver. Questi sono i suoi ultimi versi, pubblicati nella raccolta Nuovo sentiero per la cascata (Minimum fax, Roma 2001) e ho pensato di riproporli nel giorno dedicato dalla liturgia a san Giovanni evangelista, colui che nel suo Vangelo ci ha lasciato le parole più intense di Cristo sull'amore e che nella sua Prima Lettera ha coniato la celebre definizione: "Dio è amore". Carver raffigura in modo molto semplice e trasparente la vera pienezza della vita che non è solo quella dell'amare ma dell'essere amato. E quest'ultimo è un dono e una grazia, perché l'amore non può essere imposto per obbligo, ma è un fiore che l'anima può far sbocciare. Infelici, perciò, sono quelli che per tutta la vita non sanno amare e non sono amati. Certo, può anche accadere che uno ami e non sia ricambiato, ma l'aver amato è già ricompensa a se stesso. Ci sono, però, persone che si rinchiudono nel loro guscio e ritengono quel loro isolamento una forma di quiete
e di autodifesa. Esso è, in realtà, un'anticipazione della morte. Tuttavia dobbiamo, in verità, riconoscere che nella distesa dei palazzi delle nostre città ci sono legioni di persone a cui nessuno più pensa. In questi giorni di festa è ancor più lacerante la ferita della solitudine, l'amarezza dell'abbandono, il silenzio del telefono, l'assenza di un sorriso o di un augurio. Se è vero che essere amati può farti dire, come al poeta americano, che la tua vita è riuscita, il non esserlo è il segno acre di un fallimento. Ogni cristiano dovrebbe, allora, farsi carico almeno di una persona che non è amata e isolata.
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