venerdì 19 febbraio 2016
Èforse utile rimuginare ancora sui temi affrontati nella scorsa settimana e cioè sul risibile e finto individualismo di tanti rappresentanti delle nuove generazioni: la loro parte più "avanzata" o, se vogliamo, la meno generosa e meno aperta. Una delle più irritanti o penose manifestazioni di narcisismo contemporaneo, a seconda dei punti di vista e dei momenti in cui la si affronta, sono i blog e social network e affini, che mostrano tra loro poche varianti. Ve ne sono di seri e, come dire?, razionali, ma per la maggior parte mostrano una sorta di esasperazione dell'ego del tutto nuova, o recente. È l'aspetto più massiccio di una "nuova comunicazione" (o nuova solitudine però chiassosa e rissosa) prodotta dall'affermarsi del digitale, di Internet. Molti anni fa Norman Mailer, uno straboccante scrittore Usa oggi quasi dimenticato, che ha però scritto grandi romanzi come Il nudo e il morto e ha fatto reportage di new journalism invero trascinanti, come Le armate della notte, sulla grandiosa manifestazione pacifista di Washington del '67 e Miami e l'assedio di Chicago (1968), pubblicò una raccolta di scritti degli anni tra Cinquanta e Sessanta che intitolò Pubblicità per me stesso. Il titolo era anche una risposta a chi lo accusava appunto di narcisismo, di esibizionismo. Mailer riconosceva francamente questi due caratteri e li rivendicava considerandoli espressione di un individualismo necessario per riuscire a farsi ascoltare, nella buriana dei media statunitensi, in quella che un giovane ribelle europeo, Guy Debord, chiamava negli stessi anni «la società dello spettacolo». La necessità di esprimersi è una cosa che se è sorretta da una sincerità significativa e in definitiva da molta generosità, dalla ricerca di trovare fratelli, le si perdona anche qualche eccesso, pur se volgarità e aggressività infastidiscono e talora disgustano. Al fondo, dimostrano una frustrazione che non riguarda solo i giovani, in una società massificata nella quale tutti coscientemente o no avvertiamo di non contare niente, o meno di niente. Però c'è modo e modo di reagire a tutto questo. C'è il modo di chi cerca fratelli chiede ascolto e sa ascoltare, e quello di chi è semplicemente un prepotente e vuol prevalere sugli altri e non trova altro modo che quello di sbrodolare le sue pensate sul mondo (su libri film fatti persone) e il suo disprezzo del prossimo, e sa definirsi solo al negativo insultando qualcuno, o esagerando l'ammirazione per coloro a cui vuol somigliare, più prepotenti o famosi di lui. Non serve più McLuhan a spiegare questo fenomeno (quello per cui ognuno può diventare famoso quindici o cinque minuti grazie ai media), c'è dietro qualcosa di più profondo e morboso, che pochi cercano ancora di interpretare e meno ancora cercano di contrastare. La pubblicità ha invaso tutto e assorbe tutto, dice un bel saggio recente di Maria Nadotti (Necrologhi, Il saggiatore) e la sua manifestazione più nuova e radicale è proprio questo tipo di "pubblicità per se stessi". Ognuno per sé, e la nuova società (il "sistema" in cui ci siamo tutti incagliati) contro tutti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI