venerdì 1 marzo 2019
Cose di questi giorni. Un manifesto grida: “Unisciti alla RESISTENZA”; un altro, per qualche settimana, “Basta Netflix” ma poi è sostituito da un altro che strilla: “Vuoi vedere un bel film? Basta Netflix!”; il titolo di un best-seller (italiano, seriale) della Mondadori Ragazzi dichiara: Io sono una bambina ribelle. Il quaderno delle mie rivoluzioni; un famoso studioso americano, Freeman, ma tanti altri come lui – le università, anche le italiane, e i cataloghi editoriali ne sono zeppi – invita alla disobbedienza civile, alla non-accettazione del mondo com'è e come chi comanda vuole che sia e consiglia dunque di riappropriarci della nostra vita facendo grandi passeggiate, occupandoci dei nostri amici e amanti, del nostro corpo eccetera, pensando in sostanza ai fatti nostri e riscoprendo in sostanza il nostro miglior “privato”. E si sprecano i romanzi film telefilm fumetti che ci parlano dei disastri incombenti e ipotizzano un mondo di sopravvissuti con i quali possiamo identificarci perché, naturalmente, il lettore o spettatore di massa, noi, faremo parte delle poche decine che non crepano e non dei milioni che soccombono... Non è una novità, e c'è poco da scandalizzarsi. Se l'argomento del giorno è la paura dell'apocalisse e se comincia a serpeggiare la tentazione della rivolta – allora la rivolta, la resistenza, la disobbedienza civile diventano, per il mercato, una “moda” o “voga” o “tendenza” di cui tenere conto, una merce ulteriore da offrire al proprio pubblico, ai propri clienti. Se tanti anni fa Pasolini si scandalizzava per la pubblicità e la marca dei Jeans Jesus, perché scandalizzarsi oggi per i mercanti e gli intellettuali che ci vendono nientepopodimenoche la fine del mondo? E ci consigliano di rispondere a questa paura consumando Qualcosa di Alternativo, di Ribelle, di Resistente e di Partigiano, di Disobbediente... Una merce si aggiunge a un'altra o la sostituisce. I mercanti non hanno scrupoli e sanno bene che, riducendo tutto a merce, si disinnescano anche tante mine vaganti. Di tutta questa commedia (o farsa) degli inganni e della malafede, è mediatrice e artefice, formata da persone intelligenti che sono però anche servi convinti e complici “creativi” dei loro padroni o del “sistema” di cui sono una importante rotella, la categoria dei pubblicitari, sempre più dimentica dell'avvertimento che le mandò tanti anni fa un giovane e irriverente regista, Jean-Luc Godard, all'interno del film Masculin féminin, dove una didascalia proclamava che «la pubblicità è il fascismo del nostro tempo». Eravamo nel 1966.
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