Se la bellezza è verità, allora ci troviamo in una poesia di Keats
sabato 10 maggio 2008
Quest'anno la Fiera del libro di Torino è dedicata alla Bellezza: parola e idea ambigua per giudicare le arti e poco adatta per la letteratura. In letteratura si pensa piuttosto a comunicare, esprimere, rappresentare. Realtà e bellezza, verità e bellezza hanno fra loro rapporti non facili. Prendiamo due esempi eminenti di scrittori moderni, il poeta John Keats e il narratore Stendhal. In un genere letterario come la poesia lirica si può anche arrivare a dire che «bellezza e verità, verità è bellezza», cosa che fa Keats nella sua Ode a un'urna greca (1819), dedicata ai famosi fregi del Partenone da poco trasportati nel British Museum. La poesia di Keats nasce da uno stato di ammirazione estatica di fronte allo spettacolo della bellezza greca. Ma un romanziere non potrà fondarsi su una poetica del "bello" senza rischiare l'artificiosità o l'enfasi. Stendhal nel suo Il rosso e il nero (1831) sceglie come epigrafe una frase di Danton: «La verità, l'aspra verità». Estetismo e realismo potrebbero sembrare due poetiche alternative di pari importanza. Ma mentre la poesia realistica, satirica e narrativa è frequente, molto più rari sono i casi di romanzi che si propongano l'uso prevalente, se non esclusivo, di belle immagini. Nella modernità la bellezza si presenta presto e spesso rovesciata in qualcosa di orrifico e raccapricciante. Prima di Keats un altro poeta inglese, il visionario William Blake, nella famosa poesia sulla tigre parla di «fearful simmetry», agghiacciante simmetria. Più tardi, con Edgar Poe e Baudelaire, quasi sempre l'apparizione della bellezza è minacciosa e dà i brividi. Il rosso e il nero è senza dubbio un "bellissimo" romanzo: ma perché è spietatamente "vero". Non abbellisce affatto la vita, rappresenta la disarmonia, l'ambizione sociale, l'amore mancato e il fallimento tragico. È un romanzo straordinariamente geometrico. Ma la sua simmetria è agghiacciante come una pura rivelazione di realtà.
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