Se Adam Gopnik si perde tra i classici
venerdì 7 giugno 2019
Il testo dedicato al perché continuiamo a leggere i classici, che Adam Gopnik ha letto ieri sera al Festival delle Letterature di Massenzio, pone in modo discutibile un elementare problema. Si tratta di questo: leggiamo i classici perché contengono “verità profonde” o li leggiamo perché ci procurano “piacere”? L'alternativa è in realtà solo apparente, dato che fra i tanti piaceri possibili esiste anche quello, non secondario benché complesso, di accedere a verità profonde, a conoscenze e saggezze che arricchiscono la vita della mente e interrompono la routine delle nostre comuni esperienze, divenute per abitudine non-esperienze. Se leggere un libro, che sia o no un classico, non permette al lettore di vivere una nuova esperienza mentale, emotiva e conoscitiva, la lettura è inutile. L'esperienza personale diretta non può certo essere dimenticata o sottovalutata. Ma quella mentale attivata dalla lettura di opere letterarie buone o eccellenti permette anche di rivivere diversamente, in modo più sottile e approfondito, quanto abbiamo vissuto. Ho fatto in tempo a conoscere persone a cui era capitato di vivere durante la seconda guerra mondiale, con tutte le sue devastazioni morali e fisiche; eppure ho avuto spesso l'impressione che di quelle esperienze fosse rimasto in loro, nella loro personalità e mentalità, ben poco, proprio perché non avevano letto libri che permettessero di rivivere il già vissuto. Per fortuna non siamo in molti ad aver compiuto delitti, ma la lettura di Delitto e castigo fa emergere in ognuno, dal profondo, il terrore morale di poterne commettere. Non si possono compiere ogni genere di esperienze nel corso della propria vita, e questo non è un male, dato che per capire cos'è il male in quanto male è certo meglio immaginarlo che compierlo: di solito lo compie chi non ha abbastanza immaginazione per evitarlo. Il discorso di Adam Gopnik sull'alternativa fra verità profonde e piacere nella lettura dei classici non è molto convincente, anzitutto perché non convincono le sue idee di verità profonde e piacere: due cose che si oppongono solo se le banalizziamo. Si vede che il suo discorso è dettato dalle migliori intenzioni, poiché in conclusione ci dice paternalisticamente: «Ragazzi, leggete i classici, è un piacere, uno spasso! Sono pieni di pettegolezzi, di seduzione e di eccitamento!». Vorrebbe farci credere che per leggere un classico antico o moderno dovremmo considerarlo un “piacere proibito”, come se leggessimo pornografia (così dice lui). Senza dubbio esiste un eros della conoscenza, dell'avventura, della ricerca. L'eros stesso è impulso alla conoscenza. Ma ci sono anche verità non erotiche, poco erotiche, antierotiche. Vogliamo farne a meno e vivere solo di piaceri? Che noia!
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: