sabato 14 dicembre 2002
Secondo Salomone, il re sapiente, la sapienza non entra in un'anima maledetta. La scienza senza la coscienza non è che rovina dell'anima. Oggi ricorro a un capolavoro della letteratura francese che lessi fin da adolescente in una versione ridotta e purgata, divertendomi ma non intuendo la carica dissacratoria che quel testo conteneva. In realtà l'opera Gargantua e Pantagruel nel suo originale francese è molto più complessa e articolata e persino di ardua lettura. A scriverla, come è noto, fu un francescano divenuto benedettino e poi medico, filosofo e scrittore, François Rabelais (1494-1553). La frase che ho desunto da quel romanzo, sfogliandolo in una preziosa edizione, echeggia un versetto del libro biblico della Sapienza (opera fittiziamente attribuita a Salomone) in cui si dice che «la sapienza non entra in un'anima che opera il male» (1, 4). Mi piace, però, soprattutto la seconda parte dell'asserzione di Rabelais: scienza senza coscienza diventa la rovina dell'anima. Ai nostri giorni, di fronte a certi esperimenti scientifici condotti senza alcun sussulto morale, riusciamo ancor di più a condividere quel monito. Esso, però, può valere un po' per tutti. In qualsiasi attività professionale è sempre necessario un supplemento di moralità, è sempre indispensabile far scattare la voce della coscienza. Il teologo Karl Barth l'aveva definita come «la perfetta interprete della vita». Solo con questa luce riusciamo a distinguere bene e male, lecito e illecito, vero e falso, e a vivere in modo autenticamente umano.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: