Sarà anche romantico ma sul ruolo della critica si deve ancora riflettere
venerdì 30 dicembre 2016
L'esercizio della critica è un'attività inutile o addirittura perversa? Le arti hanno o no bisogno della critica? La critica abusa delle opere d'arte distraendo l'attenzione e inquinando la percezione diretta e libera, o invece concentra l'attenzione e intensifica la percezione di chi legge, o guarda, o ascolta un prodotto d'arte? Questo secolare, se non millenario problema, aperto a soluzioni contraddittorie, ha attirato di nuovo l'interesse di Mario Andrea Rigoni, saggista e studioso di Leopardi, che in un breve testo, Lo scrittore come critico (La Scuola di Pitagora, pagine 24, euro 3,00), riapre il discorso partendo dal Romanticismo. È infatti nel periodo in cui il senso della modernità esplode, che l'artista respinge da sé impazientemente la critica, mentre la critica tende sia a penetrare più profondamente nella creazione artistica che a conquistare una propria autonomia formale e letteraria.
Da un lato il culto romantico della natura e della naturalezza geniale esaltano la creazione in antitesi alla riflessione (astratta, artificiosa, disorganica). Dall'altro il culto del genio che supera la natura esige l'astrazione e la sintesi artistica intese come invenzione e non come imitazione. Secondo Schiller la poesia moderna, definita «sentimentale», si distingue dalla «ingenua» naturalezza classica: sente di averla perduta e la coscienza di questa perdita alimenta nuove forme di creazione. Perciò il poeta moderno è inevitabilmente un consapevole critico, mentre il critico è a sua volta scrittore e creatore poiché fa rinascere le opere d'arte descrivendole e interpretandole.
Questi problemi hanno una loro attualità. Sembra che della critica oggi si senta sempre meno bisogno. Ma nello stesso tempo tutti sono o si sentono a loro modo critici: la critica si esercita dappertutto, magari male, ma certo più diffusamente di un tempo. Il critico professionale perde perciò necessità e autorità. I suoi discorsi non sono un “sapere certo” cioè scientifico, sono argomentazioni che restano soggettive anche quando appaiono convincenti. Contrariamente a quanto si credeva mezzo secolo fa, quando la critica usò la linguistica per diventare o sembrare “scienza della letteratura”, oggi i pochi veri critici sanno di agire senza fondamenti teorici né legittimazione pubblica. È quindi più facile che si comportino come liberi scrittori in cerca di un pubblico che va conquistato e non è mai garantito.
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