giovedì 27 dicembre 2018

Èla notte di Natale, come ogni anno alle 23 e 20 siamo già in fila, aspettando di entrare in coro. Il freddo intenso nulla toglie alla magia di una notte che ogni anno porta in sé la memoria grata di un Dio che è venuto per guardarci negli occhi. I fruscii dei mantelli delle mie sorelle, le luci natalizie che illuminano presepi e addobbi posti alle finestre, tutto invita a meditare. In coro le note dell'inno Jesu Redemptor omnium mi commuovono. Non vorrei essere altrove che qui, anche per un mondo sofferente, distratto, talora sprezzante, a cantare quest'antico inno gregoriano colmo di attesa e compimento, di umanità ed eternità.

Dall'Usualis scivola una cartolina ingiallita. Avrà almeno 80 anni. È un bagno di ricordi. Mi rivedo in un'altra notte, quando bimbetta aspettavo Gesù Bambino. Babbo Natale c'era, ma era solo un collaboratore, uno più grande; era il buon Santa Claus, che aiutava Gesù a consegnare gli infiniti regali. La mamma usava tutte le sue arti di convincimento per farmi chiudere gli occhi e dormire, in attesa del Bambino. Avevo fatto il presepe, sempre in quel posto della casa e sempre con quelle statuine e restava il vuoto della culla a ricordare ogni giorno chi stavamo attendendo. Le luminarie in città erano misurate e, nella nebbia o nella neve, aiutavano a orientarsi. Non era bene vedere Gesù, lo sapevo, eppure appena spenta la luce, le orecchie si tendevano all'ascolto.

La mamma chiudeva la porta della sua camera, come ogni sera, si apriva la porta del bagno, era papà che pure andava a dormire. Poi silenzio. Qualche uccello notturno sopravvissuto al freddo invernale lanciava i suoi suoni gutturali. Nessun malaugurio per me, anzi, era il segno che qualcuno, forse, si stava avvicinando. Insomma, l'atmosfera così carica di attesa m'impediva il sonno. Poi, proprio quando stavo per addormentarmi, ecco il rumore di passi e di carte e di pacchi. Allora l'impulso era di alzarsi, in pigiama e, come il bambino della cartolina, sbirciare dalla porta della mia camera, guardando giù per le scale. Ecco la luce del soggiorno era accesa. Era Lui! Ero certa. E gli occhi si sgranavano per la sorpresa che un Dio si potesse occupare di me, che avesse una faccia da bambino come la mia. Non osavo proseguire, impietrita dal freddo e dall'emozione mi decidevo a tornare nel mio lettuccio. La mattina giungeva come qualcosa di assolutamente nuovo e benché sapessi dove fossero i regali, scrutare in tutte le stanze della casa, bagno compreso, lasciando per ultimo il soggiorno, era un rito. L'apertura della porta aveva il sapore del miracolo: i regali ammassati sotto l'albero sul divano, pacchi, pacconi mi lasciavano senza parole.


Non ho avuto nessun trauma quando, più tardi, ho imparato che non era Gesù Bambino a portare i doni, benché vi avessi creduto fermamente, né ha tolto qualcosa alla magia della notte di Natale scoprire la verità. Anzi. Tutto è rimasto intatto in fondo all'anima, come se quelle antiche attese mi avessero radicato nella certezza che Gesù viene, viene sempre, quando lo si attende e si crede. Nella vita mi è stato utile. C'è una roccia sulla quale poggiarsi e come vorrei ora, mentre ritorno alla mia realtà, mentre in coro riprendo a unirmi al canto dei salmi che ogni uomo, il più solo e il più disagiato, potesse godere di questa certezza. C'è un Dio che ti vuole salvo e non ti abbandonerà, ma userà altri occhi e altre mani, per riconsegnarti alla luce e alla speranza. Canto l'Amen con tutta la voce, so che Dio mi ha già ascoltato e qualcuno sulla terra ne godrà.

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