Sabine Weiss, quegli istanti di poetica libertà
venerdì 22 aprile 2022

Una bambina è pronta a saltare sorridente dal bancone di un ufficio “Lost & Found” per tuffarsi fra le braccia della mamma. Un gioco, un istante di felicità e di poesia. Che la fotografa Sabine Weiss coglie con ironia e leggerezza a New York. Una bimba come un “oggetto”, smarrito e ritrovato, “consegnato”, da una mano nascosta, alla sua mamma.

È il 1955, la fotografa svizzera (poi naturalizzata francese) Sabine Weiss ha già trovato la sua strada, sbarcando in America dal transatlantico Liberté in compagnia del marito Hugh: i suoi scatti realizzati nelle strade brulicanti di dettagli, dal Bronx ad Harlem, da Chinatown alla Ninth Avenue, sono pubblicati dal 'New York Times' in un ampio servizio dal titolo I newyorkesi (e la Washington) di una parigina. Sono immagini che raccontano l’America con un punto di vista francese, dall’umorismo spiccato e umano. Che si testimonia nelle innumerevoli foto - non solo americane - dei bambini e dei passanti, con i gesti e i sentimenti che li accompagnano, su cui Weiss ha diretto sempre il suo obiettivo, in linea con la fotografia umanista francese. È un approccio dal quale non si discosterà mai: «Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto». Fotografa umanista, unica donna, insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Edouard Boubat, Brassaï e Izis, ma senza etichette, «senza una posizione militante», né volontà di «denuncia politica». Perché Sabine Weiss è molto altro. E lo dimostra in maniera chiara il percorso di scoperta che la Casa dei Tre Oci di Venezia propone fino al 23 ottobre, con la più ampia retrospettiva mai realizzata finora dedicata alla fotografa scomparsa all’età di 97 anni a Parigi lo scorso 28 dicembre, proprio mentre preparava questa mostra insieme alla curatrice Virginie Chardin. L’esposizione, dal titolo La poesia dell’istante, è promossa dalla Fondazione di Venezia, realizzata da Marsilio Arte in collaborazione con Berggruen Institute.


New York, Usa, 1955. L'immagine portante della mostra ai Tre Oci di Venezia su Sabine Weiss, La poesia dell’istante.

New York, Usa, 1955. L'immagine portante della mostra ai Tre Oci di Venezia su Sabine Weiss, La poesia dell’istante. - © Sabine Weiss


Oltre duecento fotografie per seguire la vita e la carriera di Sabine Weiss, unica fotografa donna del dopoguerra ad aver esercitato questa professione così a lungo e in tutti i campi della fotografia - dai reportage ai ritratti di artisti, dalla moda agli scatti di strada con particolare attenzione ai volti dei bambini, fino ai numerosi viaggi per il mondo. Nata Weber a Saint-Gingolph, in Svizzera, il 23 luglio 1924, Sabine, che prenderà il cognome del marito, il pittore americano Hugh Weiss (Philadelphia, 1925 - Parigi, 2007), si avvicina alla fotografia in giovane età. Compie l’apprendistato presso i Boissonnas, una dinastia di fotografi che lavorano a Ginevra dalla fine del XIX secolo. Nel 1946 lascia Ginevra per Parigi e diviene l’assistente di Willy Maywald, fotografo tedesco specializzato in moda e ritratti. Quando sposa Hugh, nel 1950, intraprende la carriera di fotografa indipendente. Insieme, si trasferiscono in un piccolo studio parigino e frequentano la scena artistica del dopoguerra. Poi il salto, nel 1952, quando su segnalazione di Doisneau entra nell’agenzia Rapho e comincia a collaborare per Vogue, accanto a fotografi come William Klein, Henry Clarke e Guy Bourdin, realizzando alcuni memorabili servizi di moda.

La moda, ma soprattutto i viaggi, in Europa e Medio Oriente, prima di volare in America, battendo la strada dei reportage. Lo stile è sempre lo stesso. Lo ricorda il marito Hugh: «Per lei la cosa più importante è l’eccitazione che prova nel momento in cui scatta una serie di immagini. Che fotografi un abito di Dior o una banda di ragazzini, quello che conta per lei è il fatto di affrontarli, e il controllo di tutti gli elementi dell’immagine». Fin dai suoi primi esperimenti, Sabine Weiss, nota la curatrice Virginie Chardin, «è attratta dagli ambienti notturni, da bambini e anziani, i clochard, la solitudine, la povertà, lo spettacolo della strada». E la fotografia? Lo scrive Sabine nella sua autobiografia, Intimes Convictions, è «un alibi, un pretesto per vedere tutto, entrare dappertutto, comunicare con tutti». In realtà - fa notare il direttore dei Tre Oci, Denis Curti - «si ha la sensazione che la fotografia appartenga a Weiss in forma totalizzante, perché l’ha aiutata a comprendere il mondo e a farne parte. La sua intera produzione sembra assomigliare a un gigantesco e romantico album di famiglia». Un album che si può sfogliare fra le magiche sale del palazzo alla Giudecca lasciandosi incantare dai visi dei bambini come dai racconti di strada, dai balli gitani e dalle visioni notturne. Ci sono poi i ritratti dei pittori, attori e musicisti che ha incontrato: da Alberto Giacometti con la moglie Annette a Ella Fitzgerald o Brigitte Bardot. E le signore di Dior. E i reportage: le serie più inedite, come quella dedicata ai manicomi, realizzata fra il 1951-1952 in Francia nel dipartimento dello Cher, nella comunità familiare per alienati di Dun-sur-Auron che ospita donne affette da disturbi mentali e demenza senile.


«È nei piccoli fatti della vita quotidiana e anche nei riti, nelle fiere nelle riunioni politiche, nelle guerre, nell’amore e nella morte che - annota ancora Weiss - un fotografo può testimoniare quanto esiste di più profondo nell’uomo; là dove è da solo di fronte all’incomprensione, all’ineffabile». Le ultime pagine dell’album sono mistiche. Dagli anni Ottanta al Duemila Weiss si concentra sui momenti contemplativi dell’esistenza, e sebbene si proclami atea, è attratta dall’espressione della fede e fotografa le manifestazioni religiose. Viaggia in Egitto, India, Birmania, Guadalupa, Giappone. In Portogallo, si sofferma a Fatima (in mostra c’è una donna in ginocchio).

A colpirla adesso è la «sensazione di isolamento». Lasciandoci foto di una «tenera tristezza», di «bambini e vecchi - conclude Chardin - accomunati dalla loro fragilità. Una melanconia che contrasta con la personalità vivace e giocosa della (sua) fotografia». Ma è lo specchio di una personalità più complessa di Weiss. Umanista, nel senso più ampio e profondo del termine. Poetessa dell’istante. Guadagnandosi un posto tutto a sé nella storia della fotografia. La bambina sorridente può saltare sicura fra le braccia della mamma. E sognare un futuro di libertà.


Una foto e 999 parole.

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