giovedì 26 gennaio 2017
È stato uno dei pochissimi laici a prendere la parola al Concilio. Parlo di Jean Guitton e, se mi è permesso un breve ricordo personale, quando lo andai a intervistare nella sua casa parigina alla fine del 1990, alla vigilia dei suoi 90 anni, il grande pensatore francese amico di Paolo VI mi confessò la sua angustia per le difficoltà del cattolicesimo al termine del XX secolo: «Il cristianesimo – mi disse – contiene verità così profonde che non saranno mai messe in discussione, ma al tempo stesso è sotto i nostri occhi la crisi della fede. Ecco la questione, quella di restituire la fede al nostro tempo. Ed è un problema che mi prende completamente, dal cuore al cervello». Per quanto riguarda gli esiti del Vaticano II, Guitton rilevò come fosse ancora presto per valutarne gli effetti e sottolineò come «le difficoltà di applicazione del Concilio le troveremo ancora nella fine di questo secolo e lungo tutto il XXI secolo».
Parlare di Guitton vuol dire richiamare i suoi Dialoghi con Paolo VI, ma anche i suoi incontri con alcune personalità non credenti come Althusser e Mitterrand; o i suoi colloqui ininterrotti con i giovani, testimoniati ad esempio da un arguto libretto pubblicato tanti anni fa da Città Armoniosa col titolo Imparare per un progetto. Ma qui suggeriamo di accostarsi a una sua opera poco conosciuta, Il puro e l'impuro, uscita da Piemme nel 1993. Un libro in cui Guitton presenta tesi davvero controcorrente: accecato dal miraggio della purezza, l'uomo contemporaneo finisce in realtà per sviare il percorso nella ricerca della verità e per sancire la propria divisione interiore. Al puro Guitton preferisce l'impuro, allo scopo di salvare il vero.
Il nostro filosofo ha nel mirino l'eresia catara e gnostica, che in nome della purezza radicale finì per condannare il mondo e la materia. I catari avevano orrore del creato e predicavano la non procreazione: alla loro concezione della vita, che sarebbe improprio accostare a quella dei grandi asceti cristiani, Guitton contrappone la logica dell'incarnazione, vale a dire «la composizione tra il puro e l'impuro, tra la forma e la materia». Nella nostra esistenza non ci capita mai «né solo di vivere né solo di soffrire, né di avere tutto né di avere nulla, ma di consumarsi e di portarsi a compimento nella mescolanza del tutto e del nulla, continuamente ricorrenti sotto forme sfumate e diverse».
Il suo obiettivo è di denunciare i buoni sentimenti e preferire l'impuro della pasta umana. Vediamo cosa scrive per farsi capire: «Ancora una volta, il puro non è l'incolore, l'inodore, l'aria condizionata, l'acqua minerale, il tessuto uniforme, la banalità, l'elementare, ciò che si presenta senza una scelta preliminare, il pret-à-porter. Tutto questo ne è l'immagine sbiadita, la caricatura, l'antitesi. La vera purezza non si ottiene con la negazione, l'azzeramento e l'indifferenza, ma tutt'al contrario con una tensione».
Guitton è convinto che il problema si presenta spesso nella vita quotidiana: quando si guida una famiglia o una nazione, dobbiamo scegliere non fra il tutto e il nulla, ma fra un male minore e uno più grande. «Il decidere quale, sarà la dose di puro e di impuro, cioè di composizione e d'incarnazione, che adotteremo in quella circostanza particolare».
Nella sua disamina egli se la prende anche con il cosiddetto "partito dei puri" che più volte si è manifestato nel corso della storia: lotta contro il potere ma quando lo raggiunge diventa ancora più chiuso e totalitario del potere che ha scalzato. È accaduto con i giacobini e con i leninisti. Ma non si tratta solo di un pericolo che tocca l'ambito della politica, anche a livello religioso si può ripresentare. Il libro di Guitton è stato scritto in un momento storico in cui erano forti le tensioni apocalittiche e le previsioni sulla fine del mondo: la sua condanna dell'illusione catara ha lo scopo di togliere il velo all'illusione molto sottile di raggiungere la purezza totale mediante la diserzione dal mondo. Al tempo stesso, è un no alla prospettiva del suicidio cosmico, che tanti fino a pochi anni predicavano.
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