sabato 1 giugno 2019
Ci viene detto e ripetuto che il tempo ben sfruttato è un continuum ininterrotto, che dobbiamo estendere e portare fino al limite. La maggior parte di noi vive su questa frontiera, a un ritmo ostinato e insoddisfatto, in fondo desiderando che la vita sia quel che non è: che le ore siano di più e più lunghe, che la notte non dorma mai, che nei fine settimana sia possibile recuperare tutto ciò che è stato rimandato. Quante volte ci sorprendiamo a sottoscrivere automaticamente il luogo comune "mi servirebbe un giorno di quarantott'ore" o: "mi servirebbe un mese di quaranta giorni".
Dubito che sia proprio di questo che abbiamo bisogno. Basterebbe anche solo far caso agli effetti collaterali delle nostre vite sovraccaricate, a quel che ci lasciamo indietro, a ciò che tralasciamo di dire o di seguire. Senza rendercene conto, nella misura in cui la nostra attività raggiunge picchi elevatissimi, le nostre case assomigliano sempre più ad abitazioni vuote, spogliate di una presenza autentica; la lingua che parliamo diviene incomprensibile, una lingua che nel mondo intorno a noi nessuno sa parlare; e, pur abitando la stessa geografia di sempre, è come se all'improvviso questa smettesse di essere la nostra patria e si trasformasse in una sorta di terra di nessuno. Sapienza è accettare che, in realtà, il tempo è breve, e per questo dobbiamo viverlo nel modo più equilibrato possibile.
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