venerdì 20 dicembre 2019
Un lettore “profano” e per di più non credente di fronte a opere di alta riflessione teologica si sente sempre un po' a disagio, perché teme di capire e non capire, di saperne troppo poco e troppo poco aver riflettuto di fronte a chi quella scienza l'ha praticata, l'ha vissuta, la vive. Di conseguenza quel lettore (in questo caso me stesso), intrigato dal sentore di necessità e di verità del discorso di chi su questo ha pensato e ragionato, può finire per cercare le strade più facili dell'applicazione del discorso all'attualità, al concreto della storia e della politica. Ho letto (a sbalzi, anche lasciando le considerazioni che risultano più difficili per un lettore ignorante) un libro molto bello, una lettura insolita. Si tratta di Ego te absolvo, del teologo valdese Paolo Ricca (Claudiana, pagine 154, euro 14,50), che si sofferma già nel sottotitolo su un tema centrale per ogni civiltà, “Colpa e perdono”. Il sottotitolo continua collocando il discorso “nella Chiesa di ieri e di oggi”, ma anche il lettore più profano comprende subito che esso può allargarsi, e riguardare tutti e tutto, il rapporto dell'uomo con la società in cui gli è stato dato di vivere: l'uomo tra i suoi simili e nella natura, l'Uomo e la Storia. Dopo un excursus linguistico (l'importanza dei termini, della loro traduzione e interpretazione) e storico (come il problema si è posto ed è stato affrontato nelle chiese cristiane, in particolare dal cattolicesimo e dalla Riforma) e le dotte considerazioni focalizzate sulla colpa individuale, sulla confessione dei peccati, sul riconoscimento della fragilità della condizione umana di fronte al male, agli istinti, e diciamo pure al “peccato originale”, si discute del significato e della indispensabilità della confessione a se stessi, a un sacerdote, o in qualche modo al mondo, della propria debolezza, nella convinzione della necessità – per andare avanti, per tornare in pace con se stessi, se possibile mutando - del perdono. Pur se nel privato della confessione e all'interno di una Chiesa. Si tratta di fare i conti con se stesso, e con la propria fede e visione, di fronte però a qualcuno – un sacerdote – che ti ascolta e che tuttavia ti giudica, che ti assiste nel giudicare te stesso. Ma il discorso si fa troppo complesso per un profano, che ritrova bensì un terreno per lui più chiaro nell'ultimo capitolo del libro, che Ricca dedica a un episodio molto particolare di pubblica confessione e richiesta di perdono. In esso si ritorna alla Storia (e si arriva a “parlar di politica” su un terreno più controllabile per me e per altri come me!) ricordando una “confessione” pubblica famosa ed esemplare: quella di Willy Brandt che confessa nel ghetto di Varsavia il 7 dicembre 1970 il peccato del suo popolo, da cancelliere della Germania federale, inginocchiandosi davanti al ricordo delle vittime del nazismo. Un gesto che tanti uomini politici dovrebbero imitare, oggi che chi gestisce il Potere, con la complicità o meno del suo popolo, continua in tante parti del mondo e anche dalle nostre, non ha certamente poche colpe da confessare e di cui chiedere perdono.
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