mercoledì 24 dicembre 2003
Il nostro unico obbligo morale è quello di dissodare vaste radure di pace in noi stessi e di estenderle a poco a poco, finché questa pace non si diffonderà verso gli altri. Più pace ci sarà negli esseri, più ce ne sarà in questo mondo in fermento. Non è la prima volta che s'affaccia in questo nostro spazio di meditazione il volto di Etty (Ester) Hillesum, giovane ebrea olandese uccisa nel lager di Auschwitz il 30 settembre 1943, a soli 29 anni. La sua è spesso una voce mistica, affidata a un Diario, tradotto in Italia dall'ed. Adelphi. Alle soglie del Natale costruisco il mio augurio attraverso questo suo appello a «dissodare vaste radure di pace in noi stessi». Lasciamo alle spalle un anno insanguinato da una guerra; le tensioni internazionali sono sempre frementi; terrorismo, violenza, sfruttamento, crudeltà sono costantemente in agguato o in esercizio; gli squilibri planetari creati dall'ingiustizia sono sotto gli occhi di tutti. Ebbene, prima ancora di affidarci alle istituzioni politiche, spesso poco affidabili al riguardo, dobbiamo partire da noi stessi, dal nostro piccolo orizzonte, irradiandolo di pace. È un'azione a prima vista modesta ma, come la catena dell'odio si allunga con atti singoli di vendetta, così l'amore dilaga solo se l'acqua purificatrice e dissetante del perdono, della generosità, della benevolenza è arricchita da tanti piccoli rivoli che ognuno immette e alimenta. Solo così può risuonare ancora una volta quella voce angelica: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». È, infatti, Dio stesso che genera in noi un seme di pace, purtroppo non di rado inaridito dal terreno secco e spinoso della nostra libertà. Scriveva ancora Etty: «La mia vita è un ininterrotto ascoltare, dentro di me e gli altri, Dio». E quelle divine sono solo parole di amore e di pace.
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