mercoledì 17 gennaio 2007
Poco dopo la morte di Rabbi Moshe di Kobryn, fu chiesto a uno dei suoi discepoli: «Per il tuo maestro qual era la cosa più importante?». Il giovane si mise a riflettere per un po', e rispose: «Quello che stava facendo in quel momento!». La tradizione degli ebrei detti Chassidim, cioè "pii, fedeli", che ebbero origine nel Settecento nell'area mitteleuropea, è come un arsenale di racconti, di aforismi, di motti, di canti. In questa giornata dedicata dalla Chiesa italiana alla riscoperta dei nostri legami spirituali con l'ebraismo, sono anch'io ricorso al repertorio chassidico con questo apologo riguardante un maestro rabbinico. Riuscire a fare ogni cosa come se fosse la più importante è un esercizio tutt'altro che facile. Eppure è qui la vera spiritualità. Non è nel decollare dal nostro orizzonte terreno quotidiano alla ricerca di chissà quali azioni alte, nobili, supreme e mistiche. È, invece, nella fedeltà semplice e appassionata alla vocazione che ti ha chiamato in questa casa, in questa famiglia, con queste persone che ogni giorno incrociano la tua esistenza. Certo, il futuro, il desiderio, l'aspirazione sono realtà anch'esse importanti, ma decisivo è il presente da vivere in pienezza, colmandolo di impegno e di amore. È talmente vero questo che i filosofi non hanno trovato di meglio per definire simbolicamente l'eternità che compararla a un attimo presente perfetto. «L'eternità è quando non manca più il presente», scriveva un grande pensatore latino del V-VI sec. come Severino Boezio. Ecco, allora, la scelta di vita più seria: continuare a camminare nell'oggi, facendo bene ciò che fai, come suggerivano gli antichi sapienti romani col loro proverbio Age quod agis, fai quello che stai facendo con rigore e amore.
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