martedì 5 maggio 2020
4maggio, le otto del mattino. Sali sull'auto coperta di polvere, quasi con timidezza metti la freccia e ti immetti, dopo settimane, nel traffico di Milano. Due automobili davanti a te al semaforo, altre tre in coda dietro a un autobus. Ti si apre un po' il cuore: non più il deserto, non più quel silenzio opprimente. Per strada gente con la spesa, runner, mamme con bambini. Tutti rigorosamente con la mascherina, molti con i guanti. Il clangore di una saracinesca riaperta, il padrone che strappa il cartello “chiuso” con soddisfazione. In molti negozi si lavora alacremente con scope e strofinacci – quasi l'inverno fosse finito solo ora.
All'Arena contemplo, mi accorgo, con affetto il grosso jumbo tram che mi traversa la strada. In pochi, a bordo. Però, gente che torna al lavoro. Cadorna: non c'è un buco per parcheggiare, mi dico, per la prima volta, con soddisfazione. In un ufficio l'impiegata mi sussurra: «C'è un bar che fa il caffè, qui dietro». Un caffè? Mi si illuminano gli occhi, accelero il passo. È vero: un bar offre caffè da asporto in un bicchierino di carta, lo bevi sul marciapiede. Tre persone escono sorridenti col fumante bottino. Guardo l'orologio, 9.37, prima di centellinarmi il primo espresso da due mesi. E in quel gesto da niente qualcosa mi commuove: la vita, torna attraverso le piccole cose. Fuori dal bar già la coda si è allungata, in un amichevole passaparola. Il piccolo locale calamita i passanti, e tutti se ne vanno con quell'accenno di sorriso.
Alla stazione Cadorna un discreto via vai di pendolari. Non certo quell'onda che normalmente a quest'ora sbocca come un fiume dalle Ferrovie Nord e si incanala rapida nelle scale del metrò, travolgendo chi è nuovo, e non conosce la strada. Non quel fiume di persone che ogni mattina alle otto corre come sangue nelle arterie sotterranee di Milano; e tacitamente comunica un'ebbrezza, una voglia, una passione di fare. E però, già si vede un timido principio, in queste strade a lungo tristemente vuote. Un po' di milanesi, un po' di pendolari oggi sono tornati.
Sul metrò distanze di sicurezza, guanti, tetto massimo di passeggeri. Che caos, avresti detto: eppure anche qui Milano, saggia, si rimette in moto, adagio. Non c'è un'aria di liberi tutti, non c'è leggerezza. (Troppi, qui, hanno avuto almeno per un'ora o per un giorno paura, troppi hanno visto che si moriva, e rapidamente, che si moriva davvero).
Si torna in strada, sì, con impazienza e sollievo, in una splendida mattina di maggio; ma ancora in guardia, come non convinti che il nemico se ne sia definitivamente andato.
Milano stamattina fa pensare a quelle locomotive di treni merci che si staccano dalle banchine con un moto dapprima lentissimo, gravate come sono da trenta vagoni stracarichi. Poi, impercettibilmente, accelerano, e il pesante convoglio si mette in marcia, e va verso la sua destinazione.
Che sia così, preghi, anche per questa città ambiziosa, orgogliosa forse, ma fondata sul lavoro. Che la locomotiva d'Italia riparta, e si trascini con sé un Paese che aspetta solo di vivere, e lavorare, e sorridere ancora.
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