sabato 29 maggio 2021
Ci si può arrabbiare con Dio? Detto così potrebbe suonare come una bestemmia. Ma a chi non è capitato di levare i pugni al cielo, di recriminare, di chiedere conto a Dio del perché di un disastro che ci ha sconvolto la vita, di un lutto che ci ha lasciato amputati, di un avvenimento senza logica né senso? Nessuno, credo. Perché davvero alcuni avvenimenti, alcune realtà, arrivano a farti dubitare dell'esistenza stessa di Dio. Nel 2006, durante la sua visita in Polonia, Benedetto XVI si volle recare al campo di concentramento di Auschwitz, dove pronunciò un memorabile discorso che cominciava proprio da quelle domande: «In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa... Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell'Israele sofferente: “... Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose... Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore?”... Questo grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio... è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi».
È così dunque che l'arrabbiarsi con Dio diventa una preghiera. Perché questa «a volte può assomigliare a quella di Giobbe, il quale non accetta che Dio lo tratti ingiustamente, protesta e lo chiama in giudizio», ha detto qualche giorno fa Papa Francesco. «Tante volte anche protestare davanti a Dio è un modo di pregare». Tante volte, ha aggiunto Bergoglio, «il figlio si arrabbia col papà: è un modo di rapporto con il papà; perché lo riconosce “padre”, si arrabbia... E anche noi, che siamo molto meno santi e pazienti di Giobbe, sappiamo che alla fine, al termine di questo tempo di desolazione, in cui abbiamo elevato al Cielo grida mute e tanti “perché?”, Dio ci risponderà. Non dimenticare la “preghiera del perché”, la preghiera dei bambini quando cominciano a non capire le cose: gli psicologi la chiamano “l'età dei perché”, il bambino domanda “papà, perché?”, ma stiamo attenti: lui non ascolta la risposta del papà, il papà inizia a dare una risposta e lui domanda un altro “perché?”, solo vuole attirare su di sé lo sguardo del papà... e così noi quando ci arrabbiamo un po' con Dio e cominciano a domandare “perché?” stiamo attirando il cuore del Padre verso la nostra miseria, la nostra difficoltà, la nostra vita. Abbiate coraggio di dire a Dio “perché?”: delle volte arrabbiarsi un po' fa bene perché ci fa svegliare questo rapporto da figlio a padre, da figlia a padre, che dobbiamo avere con Dio. E anche le nostre espressioni più dure e più amare, Egli le raccoglierà con l'amore di un padre, e le considererà come un atto di fede, come una preghiera».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI