giovedì 8 settembre 2011
Quanto dev'essere costato agli angeli / non prorompere in un canto / perché sapevano: in questa notte si genera la madre / di quell'Uno che presto apparirà! / Dove solitaria sorgeva la masseria di Gioacchino / percepivano, in quello spazio, addensarsi la purità. / Ma a nessuno di loro fu dato di scender laggiù.

Se guardate sul calendario, troverete l'indicazione: «Natività della Beata Vergine Maria» (almeno fino a quando non si leverà qualche esagitato a gridare allo scandalo di una simile "imposizione" confessionale!). Ho pensato di evocare quell'evento, celebrato in uno degli apocrifi più popolari, il cosiddetto Protovangelo di Giacomo, con l'avvio (un po' semplificato) della lirica Nascita di Maria di un poeta da me molto amato, l'austriaco Rainer Maria Rilke (1875-1926). Egli immagina quella nascita immersa in una notte, per creare un parallelo con quella di suo Figlio, Gesù. C'è, però, una differenza: gli angeli non vengono inviati a intonare il Gloria, come nella nascita di Cristo. Essi conoscono Maria e il suo destino futuro di «madre di quell'Uno che presto apparirà», fremono e contemplano solo dall'alto questo evento.
Nei versi di Rilke c'è un'espressione suggestiva per descrivere la dimensione profonda di ciò che avviene nello spazio modesto della «masseria di Gioacchino», padre della Vergine: «addensarsi la purità». In Maria si ha l'umanità rinnovata, libera da un'altra densità tenebrosa, quella del peccato. Ora, invece, a creare un gorgo di luce è la «purità», una parola ai nostri giorni obsoleta, anche nelle sue varianti, «castità», «purezza», «innocenza». A tenere banco sui giornali è, invece, la sfrontatezza, la spudoratezza, la volgarità. Sarà ancora possibile far capire che c'è una purezza che non è sinonimo di frigidità ma di limpidità, di virtù, di bellezza, di donazione?
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