martedì 12 giugno 2007
Leggendo un trattato di malattie mentali quel che stupisce di più è il trovarci i ritratti morali dei nostri migliori amici. Traiamo questa ironica considerazione dal Sacco dell'orco (1932) di Giovanni Papini, una delle tante attestazioni del suo carattere ruvido e implacabile nel denunciare i vizi umani. L'immagine è tutt'altro che lontana dall'esperienza quotidiana: proviamo a sfogliare un trattato di psichiatria e alla sequenza delle varie sindromi siamo subito pronti a pensare
che esse calzino a pennello a qualcuno dei nostri amici e conoscenti. L'antica favola delle due bisacce ha sempre una sua attualità: gettato alle spalle il contenitore dei nostri difetti, eccoci subito a rimestare con gusto nel sacco dei peccati altrui che teniamo ben spalancato davanti a noi. Il simbolo evangelico della pagliuzza altrui e della nostra trave è del tutto pertinente per illustrare la storia delle relazioni umane. Inoltre, noi non sospettiamo, se non raramente, che tutto questo è vero anche al contrario, tant'è che uno scrittore acido come il franco-rumeno Emile Cioran (1911-1995) non esitava a osservare che «se potessimo vederci con gli occhi degli altri, scompariremmo all'istante». Si ha, così, una sottile rete di mormorazioni e calunnie che è a sua volta coperta da una più spessa rete di ipocrisie e di falsità. Per questo il Vangelo rimanda a due impegni piuttosto ardui da praticare. Da un lato, l'arte delicatissima della correzione fraterna, condotta con attenzione, con retta intenzione, con cautela (Matteo 18, 15-17). D'altro lato, vale invece il principio lapidario: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati" perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Luca 6, 37-38).
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