domenica 4 febbraio 2007
La vita non è un problema da risolvere ma un'esperienza da vivere. Non di rado il nostro sguardo si rivolge oltre il nostro orizzonte religioso e nello spazio delle nostre riflessioni ospitiamo voci di altre fedi. È il caso di questa breve ed essenziale considerazione che appartiene alle parole attribuite a Buddha. I due approcci alla vita qui delineati sono posti come a due estremità e spesso ci conquista il primo di questi atteggiamenti. La parola «problema» è, infatti, una delle più usate ai nostri giorni, forse perché si è sostanzialmente insicuri e, anche quando diciamo la solita frase fatta «Non c'è problema», in realtà ci muoviamo o in modo circospetto, oppure sappiamo già di non farcela. Questo comportamento che considera la vita un problema nasce dal fatto che spesso siamo senza meta, senza attesa, senza un fine prefissato. Ecco, allora, il secondo estremo, quello del leggere la vita come un'esperienza da assumere in pienezza. Ma anche in questo caso le cose non sono semplici. Non basta sperimentare vicende, eventi, incontri: quante persone hanno un'esistenza ricca di esperienze eppure rimangono vane e inconsistenti. È necessario elaborare, giudicare, vagliare in profondità ciò che si vive per coglierne il succo vero e con questa energia cercare di individuare un compito, una missione, una vocazione, un senso. Aveva ragione Pasternak quando nel Dottor Zivago scriveva: «Vivere significa sempre lanciarsi in avanti, verso qualcosa di superiore, verso la perfezione, lanciarsi e cercare di arrivarci».
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