mercoledì 24 settembre 2003
Non prendere a prestito e non prestare, perché un prestito, spesso, perde se stesso e l'amico. Nel libro biblico dei Proverbi si legge questo monito: «Chi prende a prestito è schiavo di chi presta» (22, 7). Un monito che ritroviamo ampliato nella frase che ho sopra citato e che è pronunziata da Polonio, il ciambellano di Amleto, principe di Danimarca, nell'omonima tragedia di Shakespeare (atto I, scena III). L'osservazione è realistica e un po' tutti nella vita l'abbiamo sperimentata. Abbiamo prestato cose o denaro a un amico e come risultato abbiamo forse perso sia il prestito sia l'amico. È facile, infatti, intuire certi meccanismi psicologici che scattano in quell'occasione: il prestatore si sente generoso, superiore all'altro, e diventa sospettoso e inquieto quando non vede il rientro del suo prestito; il debitore si sente frustrato, e reagisce in modo quasi vendicativo nei confronti di chi, ai suoi occhi, lo umilia con un gesto che pure gli è necessario. Forse per questo è meglio che i prestiti tra amici si risolvano in doni (convinti e non coatti), oppure si lasci corso a procedure esterne, evitando che questioni economiche inquinino l'amicizia. Tutto ciò rivela " ancora una volta " quanto sia vera la tesi di una radicalità peccatrice (chiamiamola pure "peccato originale") che punteggia di veleno tutte le azioni umane, non rovinandole totalmente ma ferendole di egoismo e di orgoglio. La via del dono, a cui sopra accennavo, almeno tra amici dovrebbe essere più praticata, nella consapevolezza però che anche su quella strada " per la ragione appena detta " affiorano ingratitudini o attese, recriminazioni o illusioni. È, allora, necessario stare sempre in atteggiamento di conversione e di confessione del nostro limite, anche quando compiamo il bene.
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