martedì 7 giugno 2005
Meglio sapere poche cose, ma belle e necessarie, che moltissime cose di poco conto e inutili.
Nel 1906 Tolstoj, il celebre scrittore russo, decise di pianificare un suo Ciclo di lettura, selezionando testi veramente necessari (tra i quali pose subito il Vangelo). Annotò, allora, in apertura questa sua frase, accompagnandola con alcune citazioni di autori diversi, tra i quali il filosofo inglese John Locke (1632-1704) che osservava: «Siamo una specie ruminante e non basta che ci imbottiamo con una quantità di libri: se non ruminiamo e digeriamo per bene tutto quello che abbiamo ingerito, i libri non ci daranno forza e nutrimento». In verità ai nostri giorni non si corre il rischio che ci si «imbottisca con una quantità di libri».Adesso è piuttosto la comunicazione informatica a offrirci un immenso paniere colmo di ogni dato, dai peggiori cascami fino alle perle, in una confusione totale che genera relativismo, disorientamento e scompiglio mentale e morale. È, dunque, indispensabile ritornare all'esercizio critico, al vaglio, alla selezione, individuando innanzitutto le «poche cose, belle e necessarie». Solo così si alimenta lo spirito, si trova una lampada che guidi il cervello e il cuore, si diventa capaci di accrescere la conoscenza anche con le cose secondarie. Questo metodo è purtroppo spesso assente, a partire dalla scuola e il risultato è ben espresso dall'antica sapienza ebraica che così ritraeva il duplice esito, attestato a ogni livello sociale anche ai nostri giorni: «Il sapiente sa quel che dice, lo stupido dice quel che sa».
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