martedì 27 settembre 2011
Isuoi discepoli avevano definito i suoi discorsi e i suoi scritti «perle di saggezza». Il maestro non si dimostrò molto entusiasta di questa definizione. Gli chiesero la ragione di questa sua riserva. «Avete mai visto perle che crescono se sono seminate in un campo?», fu la sua replica.

Se qualcuno si mette a esaltare una tua azione, è spontaneo sentire nell'anima quel languore che non è ancora superbia, ma è soddisfazione, fierezza, appagamento. Nella magniloquenza del passato, per scritti o discorsi di maestri dello spirito o delle lettere si usava l'espressione «perle di saggezza». È quello che fanno nei confronti del loro maestro anche i discepoli di questo apologo orientale che trovo evocato nella lettera affettuosa di un lettore. La replica è, però, illuminante. Troppe parole e azioni hanno, infatti, la funzione di abbellire coloro che le pronunciano o compiono. Sono appunto collane di perle che, certo, brillano ma sono da indossare per essere più appariscenti. Anche per questo, Cristo - che pure non ignora il paragone delle perle («Non gettate le vostre perle davanti ai porci…», Matteo 7,6) - preferisce ricorrere a immagini vive come quella del seme di grano (o di senapa) che, «caduto in terra, muore e produce molto frutto» (Giovanni 12, 24).
Bisogna, quindi, dire e fare cose belle ma anche buone, affascinanti ma anche feconde, luminose ma anche calorose. In questa linea, vorrei concludere con un'altra parabola orientale. Si accorreva per ascoltare un maestro dall'eloquio incantevole. Ma un ascoltatore rimase attratto solo dal flusso mirabile delle frasi e non fu toccato nel cuore. Allora un discepolo del maestro spiegò: «Devi fare come se si trattasse di un albero autunnale: scuoti l'albero del discorso, fa' cadere a terra tutte le foglie delle parole; quello che rimarrà è il frutto che nutrirà la tua anima».
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