martedì 28 febbraio 2017
È un errore pensare che il comfort sia condizione necessaria per la gioia della creazione. Ciò che nella vita di ognuno di noi è decisivo, ciò che esprime nella sua forma più pura la nostra vocazione, non dipende da questo genere di condizionamenti. Sgorga piuttosto da una vitalità interna, nascosta allo sguardo, che portiamo con noi incessantemente, ovunque veniamo a trovarci. Che questa vitalità sia una fonte o una sete. Che sia una convinzione che ci abita stabilmente o una domanda scomoda che ci viene a far visita sporadicamente. L'importante è questo stato di ascolto e di dono in cui la vita si trasforma. Nel discorso che fece quando ricevette il Premio Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk spiegò che il primo dovere dello scrittore è ritirarsi, chiudersi in una stanza e rimanere a tu per tu con le parole, immergersi dentro di sé. Pamuk insiste: «Per diventare scrittori, pazienza e fatica non bastano: dobbiamo innanzitutto sentire l'impulso irresistibile a fuggire la gente, la compagnia, la consuetudine, la quotidianità e a chiuderci in una stanza». Che cosa significa chiudersi in una stanza? È la decisione e la disponibilità all'incontro radicale con sé stessi; è tirar giù le difese e la maschera, accettando la propria nudità; è ascoltare quel che si insinua in noi, e questo solo. Il consiglio di Gesù anche per l'esperienza della preghiera fu il seguente: «Entra nella tua camera e chiudi la porta» (Mt 6,6).
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