venerdì 18 novembre 2005
Orribil furono li peccati miei;/ ma la bontà infinita ha sì gran braccia,/ che prende ciò che si rivolge a lei.Un lettore di Sarzana si lamenta del fatto che io abbia usato raramente Dante e mi propone questi tre versi pronunziati da Manfredi, re di Napoli e di Sicilia, noto per la sua dissolutezza e crudeltà e ora relegato nel Purgatorio (III, 121-123). Sono lieto di raccogliere questo suggerimento: in realtà il mio amore per Dante è altissimo e sono felice di essere stato invitato a parlare al congresso dantesco che si terrà a Ravenna nel settembre 2006, nel VII centenario dell"avvio della stesura della Divina Commedia. Dante non è, però, passibile di sbrigative letture come sono quelle che noi talora svolgiamo. Tuttavia i versi proposti sono così limpidi da sopportare anche  una semplice applicazione com"è la nostra.Il contrasto è tra l"orrore dei peccati umani e la bontà infinita divina. È quest"ultima, però, a prevalere, come è sottolineato dall"immagine delle «gran braccia» di Dio: potremmo dire che Dante in queste due sole parole riesce a riassumere in modo icastico la parabola del figlio prodigo. Il padre ignora tutti i delitti e i tradimenti del suo ragazzo ribelle: «Quando costui era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Luca 15, 20). Chi non ricorda il dipinto di Rembrandt col padre posto al centro della tela, con le sue braccia che attirano a sé il figlio di spalle? Il messaggio evangelico del perdono e dell"amore è, quindi, luminosamente trasfigurato dai versi di Dante che nella riga precedente (v. 120) ci ricorda questa splendida definizione di Dio: «quei che volentier perdona».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: