sabato 28 agosto 2004
Che cosa si può dire quando si parla di te, Signore? Eppure guai a coloro che non parlano di te! Seicentocinquant'anni fa, nel 354, a Tagaste - l'odierna Suk-Akras in Algeria - nasceva s. Agostino di cui oggi la liturgia fa festa, ricordandone invece la morte, avvenuta il 28 agosto 430, mentre la città del suo ministero episcopale, Ippona, era messa a ferro e fuoco dai Vandali. Ho pensato di scegliere una semplice frase dallo sterminato patrimonio dei suoi scritti. Essa ben esprime un duplice atteggiamento del grande Padre della Chiesa. Da un lato, infatti, egli era consapevole che parlare di Dio è sempre un balbettare. Il nostro linguaggio s'inceppa e corre il rischio dell'idolatria. Quante volte nella storia il nome di Dio è stato usato a sproposito, piegato a interessi, bestemmiato proprio con la scusa di esaltarlo, elevandolo a vessillo di atti ingiusti e persino violenti. È allora necessario tacere? No, ed è questo l'altro lato della questione. Bisogna saper parlare di Dio, testimoniandone la verità, illustrandone la gloria, svelandone la luce. D'altronde anche un teologo contemporaneo, J. L. Marion, osservava: «Ciò che stupisce non è la nostra difficoltà a parlare di Dio, ma la nostra difficoltà a tacere di lui». Tuttavia s. Agostino proprio quando parla di Dio, adotta la via di parlare a Dio. La sua teologia è normalmente rivestita dal manto della preghiera. Le verità più genuine su Dio si scoprono quando lo si interpella ed egli si svela a noi proprio per quella via. È, allora, questo l'invito ultimo del vescovo di Ippona: taci e prega e, così, parlerai di Dio in modo autentico.
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