martedì 3 dicembre 2002
L'odio è un liquore prezioso, un veleno più caro di quello dei Borgia. Perché è fatto col nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due terzi del nostro amore. Nella fantasia popolare i Borgia, famiglia patrizia spagnola stabilitasi a Roma quando un suo membro, Alfonso, divenne papa Callisto III (1455-58), sono diventati l'emblema della crudeltà efferata (Cesare Borgia), della corruzione (papa Alessandro VI Borgia), del vizio (Lucrezia Borgia), forse con qualche eccesso di fantasia. Al loro veleno fa riferimento il poeta francese dell'Ottocento Charles Baudelaire con questa sua definizione dell'odio, presente nel suo scritto sull'Arte romantica. Nelle sue parole così accese c'è una verità che dobbiamo meditare. Quando l'odio si fa strada in noi - e una stilla di questo veleno dobbiamo riconoscere di averla tutti nel cuore -, è qualcosa di noi stessi che viene assorbito. È la nostra salute, il sonno, la vitalità che vengono coinvolti e non si ha pace. Ma c'è un aspetto che di solito non si considera. Baudelaire dice che l'odio è fatto di "due terzi del nostro amore". E questo è dimostrato, perché spesso l'odio è un modo perverso per esprimere un amore deluso, tant'è vero che si è coniato il detto che talora «chi odia ama». L'odio può essere una degenerazione dell'amore ed è per questo che dobbiamo sempre controllare le nostre passioni, i sentimenti, le emozioni perché non impazziscano e ci trascinino verso un gorgo dal quale è arduo emergere per rivedere il cielo e la pace.
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