sabato 10 maggio 2003
È certo che i veri poeti dicono spesso cose meravigliose e assolutamente plausibili senza aver pensato un nonnulla su queste cose: perciò li si paragona a quelle sorgenti da cui zampilla acqua viva, chiara e saporita, e che non sanno il come è il perché. È un giovane lettore colto e intelligente a proporci oggi il testo del "Mattutino". Lo desume dalla Lettera ai pedanti di uno scrittore criticato e stimato nella sua epoca, Pietro Aretino (1492-1556), che miscelò vite di santi a "sonetti lussuriosi", amicizie con personaggi come Tiziano e Bembo e frequentazioni di prostitute che gli davano materiali per le sue commedie e i suoi dialoghi. Qui, però, ci offre una riflessione interessante che può travalicare lo specifico dei "veri poeti" (e sappiamo quanto sia importante quell'aggettivo!). Spesso ci si sorprende di fronte alla ricchezza che certi testi continuano a svelare e che, a prima vista, non si sospettava, e ci si chiede: ma l'autore aveva in mente e intendeva dire proprio tutte queste cose? L'Aretino ci risponde ricordando che nel grande artista è in azione una forza che lo trascende e che non per nulla è stata chiamata "ispirazione", quasi come per i libri delle Sacre Scritture. Nell'artista c'è una sorgente di vita e di luce che è stata a lui donata e che genera un fiume che va oltre la sua stessa coscienza. Ebbene, questo vale anche per tutte le persone che in sé ricevono in dono una scintilla di luce, un seme di fecondità: è il famoso talento evangelico che può essere anche uno solo, ma che non dev'essere tenuto rinchiuso e oscurato, ma reso disponibile. È solo così che si irradia - anche se in forma modesta - luce, si offre acqua che disseta.
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