martedì 28 marzo 2006
Se qualcuno vi dice: «Non è per soldi, ma per una questione di principio», state pur certi che è per i soldi. È una delle battute che avevo trovato qualche tempo fa sulla rivista americana New Yorker e il suo realismo cerca di dissolvere il velo di ipocrisia che avvolge tante dichiarazioni di principio. Ritorniamo, così, su una realtà, quella del denaro, nei cui confronti si fa tanto i distaccati o gli schizzinosi, mentre in verità costituisce sempre una specie di morsa che non molla mai né mente né cuore. Alla fine, se si lascia via libera a quella stretta, si diventa egoisti e ottusi, gretti e persino crudeli. A Martin Lutero si attribuisce questa affermazione: «La ricchezza è la cosa più effimera che Dio possa dare a un uomo. Per questo il buon Dio la concede in genere agli asini più grandi ai quali non intende dare altro». La Bibbia, quando parla dell'idolatra, dice che diventa come l'oggetto che adora (Salmo 115, 8). Si ironizza di qualcuno dicendo che nelle sue pupille si intravede stampato il segno del dollaro o dell'euro, tanto il denaro è l'unico oggetto del suo desiderio. Questo è un po' vero per tutti: quanto più ci si attacca a una cosa, tanto più essa ti plasma l'anima e persino il corpo. Se la realtà amata sono i soldi, è inevitabile che si diventi sempre più freddi calcolatori, insensibili agli altri, custodi implacabili del proprio tesoro. Aveva ragione lo scrittore cattolico scozzese Bruce Marshall quando definiva il denaro come «la misura dell'incapacità dell'uomo di amare il suo prossimo come se stesso». Basta guardare i ricchi e i loro comportamenti. Finisco, allora, con un'altra battuta del New Yorker: «Vuoi sapere cosa pensa Dio del denaro? Guarda la gente a cui lo dà!».
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