martedì 17 aprile 2007
Noi: è la solitudine che se ne va. Noi: è la tristezza che diventa felicità. Noi: sono le tue mani che cercano le mie. Noi: è essere insieme anche quando sono solo. Oggi, domani e ancora quando dirò «Noi», parlerò sempre di te.Invitato a cena in casa di una coppia di cui ho celebrato anni fa le nozze, sento echeggiare nel salotto una voce che canta, anche se tenuta in sordina. Non mi è del tutto nuova e il marito mi spiega che è una canzone di Gino Paoli. Un po" distrattamente ascolto le parole che leggo poi sul testo che accompagna il cd. Ecco, c"è quel pronome importante, usato e abusato, "noi": enfatico, quando è impiegato per darsi un contegno coinvolgendo gli altri nel nostro pensiero, suggestivo quando indica una vera amicizia o un amore che non ti fa più dire "io" perché la tua vita è unita a quella dell"altro, in una comunione e intimità di affetti,  di scelte, di ideali.Ha ragione Gino Paoli: se puoi dire con sincerità «noi», avendo accanto un"altra persona a cui vuoi bene, la solitudine se ne va, la tristezza svapora, le mani si stringono, l"isolamento cessa e la vita s"illumina. Aveva ragione anche Qohelet, sapiente biblico, quando ammoniva: «Guai a chi è solo: se cade, nessuno lo rialzerà; se dorme da solo, nessuno lo riscalderà; se è aggredito, nessuno lo aiuterà a resistere» (4, 10-12). Purtroppo molti non possono dire questo pronome perché, anche se convivono con un"altra persona sotto lo stesso tetto, non sono un "noi" ma due "io", soltanto accostati. E lo scrittore russo-americano Vladimir Nabokov giustamente diceva che «la solitudine è il campo da gioco di Satana».
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