
«Non avrai altri dèi di fronte a me», esigeva Dio cominciando l’enumerazione dei suoi Dieci Comandamenti a Mosè (Es 20,3). E il salmista risponde, come in eco: «Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene» (Sal 16,2). Quest’ultima affermazione è esigente, persino un po’ intimorente: non potremo allora gioire di null’altro se non di Dio? Dobbiamo rinunciare a trovare la felicità nell’amore dei nostri cari o nella coscienza di esercitare un lavoro utile, dal momento che è Dio l’unica fonte di felicità? Non è questo ciò che dice il salmista, il quale esprime tutta la gioia che la presenza di Dio gli procura, e trabocca di gratitudine per il dono ricevuto.
Gratitudine: una parola, così vicina alla grazia, che è già di per sé un cammino di felicità. La gratitudine è la gioia di ricevere un dono, la pura gioia dei nostri otto anni davanti ai regali di Natale, di cui abbiamo perso, da allora, l’estrema semplicità. È appunto la gratitudine che ci consente di non mettere in concorrenza Dio con le altre fonti della nostra felicità: ricondurre al Creatore, in questa gioia di gratitudine, la carezza di un raggio di sole che mi riscalda, l’amore della donna che amo o il fiorire alla vita dei miei nipoti significa saper ridire con il salmista, senza nulla disprezzare delle felicità della mia vita: «Solo in te è il mio bene!».
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