sabato 15 luglio 2017
Qualche giorno fa, affidandosi alla sinteticità obbligata di un tweet, papa Francesco ha sottolineato come «l'Europa ha un patrimonio ideale e spirituale unico al mondo, che merita di essere riproposto con passione e rinnovata freschezza». Parole "pesanti", particolarmente in questo momento storico in cui l'idea stessa dell'Europa e del suo ruolo è in profonda crisi. Parole, come ha commentato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa, che «dovrebbero arrivare alla mente e al cuore dei principali responsabili affinché innanzitutto si rendano conto in prima persona del grande patrimonio che è il continente europeo nel suo insieme e quindi l'Unione», perché «quando si perde l'identità originale, poi non si sa più chi siamo. Allora l'entusiasmo viene meno, perché subentra lo smarrimento del dove andare, chi siamo, cosa dobbiamo fare... si tratta proprio della questione di ciò che siamo, di ciò che è l'Europa nella sua origine, nella sua vocazione è nella sua missione». È molto importante il fatto che papa Bergoglio torni su questo tema, che è poi quello delle radici cristiane dell'Europa, che se non valorizzate rischiano di far inaridire le conquiste di civiltà del continente. Radici costitutive, come disse ancora Francesco in un'intervista di poco più di un anno fa al quotidiano francese La Croix, spiegando che «quando sento parlare delle radici cristiane dell'Europa a volte temo il tono che può essere trionfalistico o vendicativo. Allora diventa colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con tono tranquillo. L'Europa, sì, ha radici cristiane, il cristianesimo ha il dovere di annaffiarle, ma in uno spirito di servizio, come per la lavanda dei piedi». Decisivo, in questa affermazione, tanto il richiamo a papa Wojtyla che allo stile di servizio. Un concetto, quest'ultimo, che lo stesso Giovanni Paolo II nel 1982, nell'atto europeistico compiuto a Santiago di Compostela alla conclusione del suo pellegrinaggio in Spagna, sottolineò in modo inequivocabile ricordando come «proprio lungo le grandi strade dei pellegrinaggi sia stata favorita la comprensione reciproca di popoli europei tanto diversi... Il pellegrinaggio avvicinava di fatto, metteva in contatto tra loro quelle genti che, di secolo in secolo, raggiunte dalla predicazione dei Testimoni di Cristo, abbracciavano il Vangelo e contemporaneamente, si può dire, emergevano come popoli e come nazioni».
Intorno e a causa, per così dire, di quelle strade – il Cammino, la Francigena e loro mille diramazioni –, il Vecchio Continente smetteva di essere un conglomerato a mano a mano che si sviluppavano e trovavano concretezza gli ideali cristiani di accoglienza, di ospitalità, di solidarietà, che avrebbero fatto da cemento al crescere di tutta l'Europa. E così dunque in quel tweet di papa Francesco troviamo ancora una volta il richiamo a ritrovare questo indispensabile slancio. Perché, come disse il cardinale Ratzinger alla vigilia del Conclave che lo avrebbe eletto a Papa, nell'aprile del 2005, parlando al monastero di Santa Scolastica in occasione della consegna del premio San Benedetto, «ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo». Con passione e rinnovata freschezza.
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