Nelle profezie di Guy Debord manca il futuro
venerdì 2 febbraio 2018
Sul numero 34 del semestrale Agalma, rivista fondata nel 2000 e diretta da Mario Perniola, recentemente scomparso, si può leggere un breve scritto di Guy Debord (1931-1994), teorico del Situazionismo e autore del famoso saggio La società dello spettacolo (1967). Pur essendo una rivista centrata sull'estetica, quella di Perniola ha pubblicato saggi e studi su una varietà di temi, dalla politica alla società di massa, dalla psicologia alla letteratura. Scorrendo gli indici delle varie annate si notano fra gli altri i nomi di Baudrillard, Dorfles, Ferroni, Bourdieu, Chiaromonte, Nussbaum, Barthes, Steiner, Anders. Nelle poche pagine scritte nel 1985 Debord si occupava della «questione degli immigrati» avanzando in stile aforistico e provocatorio una serie di ipotesi e tesi sul presente e sul futuro: da elaborare e approfondire, che tuttavia delineavano sviluppi sociali probabili già tre decenni fa. La prima di queste affermazioni era che («come i rifiuti dell'industria atomica e il petrolio negli oceani») gli immigrati erano un prodotto del capitalismo che sarebbe durato secoli. La seconda tesi era che quando si parla di «rispettare le diversità culturali» si parla di cose ormai irreali: «Quali culture? Non ce ne sono più [...] non c'è che la degradazione spettacolare-mondiale (americana) di ogni cultura». Gli stessi francesi «sono elettori e non sono più niente». Tutti i partiti politici si somigliano e nessuno dei loro programmi verrà realizzato. La colonizzazione culturale americana ha portato a questo: «Abbiamo qui i guai dell' America senza averne la forza». Quella che gli europei hanno accettato senza opporsi è una «alienazione spettacolare» inventata altrove: «Perché è negli Usa che si trova il centro di fabbricazione del modo di vita attuale». Siamo società che si decompongono ed è per questo che non sappiamo accogliere una gran quantità di emigranti. Siamo elettori-consumatori che non sanno più cosa vogliono, né ci ricordiamo di aver voluto qualcosa. Non abbiamo diritto di dire che non ci sentiamo più a casa nostra «a causa degli emigrati». In questo nuovo mondo alienato siamo ormai tutti emigrati.
In quello che dice Debord c'è del vero. Ma si tratta di verità estremizzate, vere a metà. L'altra metà è nel futuro. I francesi sono ancora abbastanza francesi, non sono identici agli altri europei. La cultura di massa americana ha colonizzato mezzo mondo, ma la migliore cultura americana non è vittima come noi. La spettacolarizzazione mediatica contagia tutto, dalla politica al sesso, eppure la realtà si prende continue rivincite. Infine non è vero che siamo tutti emigrati: questa idea sdrammatizza la situazione di chi davvero lo è. Forse il peggio è che stiamo diventando «turisti della vita». Fotografiamo noi stessi come si fotografa il Colosseo.
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