Nel «sistema della comunicazione» in realtà si parla sempre meno
sabato 19 novembre 2011
Stavo giusto pensando che si dovrebbe rallentare e decongestionare la comunicazione, quando mi arriva il libro di Marino Livolsi Manuale di sociologia della comunicazione (Laterza). Lo leggerò. La comunicazione mi interessa (a chi non interessa?) anche perché mi secca che ormai dietro ogni minimo atto comunicativo ci sia una megazienda multinazionale che ci guadagna.
Si comunica troppo perché le tecnologie della comunicazione, sempre in crescita, sono state inventate per spremere il maggior numero di atti comunicativi da ognuno di noi. Eppure la nostra "società della comunicazione" è una società che soffre di carenza e denutrizione comunicativa. Il fatto è che per comunicare ci vuole tempo e pazienza, nonché una consapevole volontà (emotiva, morale, civile) di dire qualcosa di importante e preciso a qualcuno, in una situazione in cui l'altro abbia modo di rispondere.
Questa nel manuale viene indicata come CI, cioè comunicazione interpersonale. Ma quella che più sembra importare, perché più attuale, moderna e dominante, è la CtM, la comunicazione tramite mass media. Qui non agiscono individui o gruppi ristretti fisicamente presenti nel qui e ora, agiscono i grandi Apparati tecno-istituzionali della Comunicazione.
Nella CI si prevede una qualche forma di comunità, concreta ma limitata. Nella CtM siamo nella grande società, globale ma astratta. Di fatto, l'esperienza sociale quotidiana dice che si comunica sempre meno: non si parla, né per la strada, nel quartiere, nelle università, nelle case editrici, nei giornali, in treno, in aereo, ma ben poco anche in famiglia e fra amici. Nessuno ha mai tempo abbastanza. Meglio evitare. Le tecnologie fatte per "risparmiare tempo" e essere più veloci hanno rubato tempo a tutti e di tempo libero per comunicare ce n'è sempre meno. Forse il Sistema (scusate la parola) esiste, avvolge come una rete l'intero mondo. Nessuno lo vede e lo giudica da fuori perché tutti ci sono dentro.
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