martedì 17 agosto 2004
Chi siede nel deserto e si preoccupa della quiete del proprio cuore è dispensato da tre battaglie: con l'udito, con la parola, con la vista. Gliene rimane soltanto una da combattere: quella con il suo cuore. Il 70% della superficie terrestre è ormai coperta da deserti aridi o glaciali. Il processo di desertificazione avanza a ritmo incalzante e assorbe ogni anno 2000 kmq di territorio, una fetta estesa quanto il Lussemburgo. Il deserto è, però, in molte culture un simbolo; lo è soprattutto nell'antica spiritualità dei cosiddetti "padri del deserto". Ed è al più celebre di loro, s. Antonio, che è attribuita la frase che oggi proponiamo. Ora, la locuzione "sedere nel deserto", da lui usata, non vuole tanto evocare la postura tipica dei beduini, accosciati a terra, immobili in quegli spazi solitari. Essa prima di tutto è sinonimo di "contemplare". A questo punto diventa chiara la lezione di s. Antonio. Si può facilmente vincere una triplice lotta, quando si è in solitudine: l'udito non è sporcato da parole vane e vacue, la bocca non emette chiacchiere e volgarità,
la vista non ha davanti a sé immagini provocatrici e conturbanti. Eppure non si è nella perfetta serenità. C'è, infatti, da combattere la battaglia del cuore. È da esso che fluiscono - come già diceva Gesù -
tutte le intenzioni perverse ed è per questo che non basta il silenzio esteriore, la sosta pacata durante questi giorni, per essere nella pace interiore. Si deve, invece, iniziare finalmente un'opera di purificazione e di liberazione del cuore, ossia della coscienza perché torni a essere fonte di amore, di luce, di fiducia, di purezza.
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