venerdì 11 marzo 2022
Al bar dei cinesi si raccoglie, a fine giornata, un'umanità di pensionati, badanti straniere, gente sola. Mi ha sempre colpito un uomo sui sessanta, alto, gli occhi azzurro intenso, l'espressione buona. So che si chiama Z., è bosniaco ed è qui da fine anni 90. Un uomo timido, di poche parole. La tv nel locale mostra, intollerabile, la guerra. Chiedo a Z. come sta. Alza le spalle, fa cenno alle bombe su Mariupol. Per la prima volta oso chiedergli se lui l'ha fatta, la guerra. A bassa voce, senza alcun orgoglio: «Quasi quattro anni, nell'esercito bosniaco». Caspita, penso, la guerra serbo bosniaca. Non oso chiedere altro. Lui scuote la testa: «Non voglio ricordare». Poi, come controvoglia: «Chi non ha fatto la guerra non conosce davvero la vita. Quando sono arrivato in Italia, in cantiere si meravigliavano se a mezzogiorno non mangiavo. Ma voi non sapete cos'è, non mangiare per tre giorni e continuare a marciare, come ubriachi, come sonnambuli. D'estate coglievamo frutta selvatica, more... Ma d'inverno che fame, mio Dio, e quanta neve. Dormivamo nelle trincee, come topi». Z. chiude gli occhi, quasi a cambiare quel terribile canale. Dal '98 è in Italia, ora vive della pensione minima. Un uomo così mite, per anni dentro quell'atroce guerra. Cosa vorrebbe dimenticare Z.? Ordina alla barista una grappa. Nel blu dei suoi occhi buoni un mistero, che non osi affrontare.

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