domenica 11 settembre 2016
Il futuro appartiene all'IoT (Internet of Things). Quanto meno, questo è quello che si dice sulla Rete. Bernard Charbonneau aveva già mostrato in un libro bello e triste come un canto funebre, Il Giardino di Babilonia, che l'ultimo stadio del mondo industriale non è la distruzione della natura ma la sua ricostituzione artificiale. E difatti, oggigiorno, quando qualcuno dice «amo la natura» non pensa di certo alla foresta vergine brulicante di insetti e di serpenti, ma agli "spazi verdi", i documentari della National Geographic, i percorsi vita-salute. E così, l'ultimo passaggio del digitale non è lo smarrimento nel virtuale, ma la riconfigurazione del reale a partire dai suoi data. Ciò che era solamente un flusso visuale e sonoro su uno schermo deve diventare matrice di tutte le forme palpabili intorno a noi, riprendere consistenza in oggetti molto concreti. Una giovane donna, per esempio, nell'attesa di poter interamente riconfigurare suo marito, può procurarsi un Little Bird: fiore all'occhiello della start-up bretone E-Sensory, questo smart sex toy, una volta connesso a un e-book erotico, si mette a vibrare quando l'utente giunge a un passaggio particolarmente eccitante (stupisce che tali apparecchi non esistano ancora per la Fenomenologia dello Spirito o per la Bibbia, ma bisogna ammettere che la lettura e l'interpretazione di tali opere non sono rese migliori da qualcosa che si mette a vibrare nell'uno o nell'altro dei nostri orifizi – neanche se fosse l'orecchio). La grande meraviglia, tuttavia, quella da cui ci si aspetta una rivoluzione totale, è la stampante 3D. Ricordiamoci le incalcolabili conseguenze spirituali dell'invenzione della tipografia di Gutenberg. Non essendo più il libro copiato a mano dai monaci, comunicato attraverso una gerarchia, una comunità e una tradizione, la sola scriptura del protestantesimo ha potuto spargersi in perfetta conformità con la nuova tecnologia. Inoltre, come mostra Victor Hugo in Notre-Dame de Paris, la funzione di insegnare ha disertato l'architettura, le sue forme, i suoi affreschi e i suoi bassorilievi carichi di simboli, per ritrovarsi soltanto nei libri: la stampa tipografica ha spogliato i nostri edifici per farne dei parallelepipedi che non vogliono dire più niente. Che cosa bisogna dunque aspettarsi della stampante 3D? Quale riforma religiosa? Quale sconvolgimento sociale? La RepRap (Replication Rapid Protoyper) ne è il modello. È "auto-replicante e libera", e cioè essa può riprodurre le sue stesse parti (perlomeno quelle che sono di plastica) ed essendo gli schemi disponibili a tutti in pochi clic ciascuno può, col passare del tempo, apportare i suoi miglioramenti e condividerli con gli altri. Parlando della RepRap qualcuno si è spinto ad affermare che essa avrebbe «condotto il capitalismo mondializzato al suo crollo, iniziato una seconda rivoluzione industriale e salvaguardato l'ambiente naturale». Lo stesso Adrian Bowyer, che ne è l'inventore, pretende di realizzare con la sua macchina ciò che Marx credeva di poter compiere attraverso una rivoluzione politica: «Il RepRap permetterà un'appropriazione rivoluzionaria dei mezzi di produzione da parte del proletariato», perché i consumatori potranno diventare produttori, confezionare i propri mugs, le stoviglie "personalizzate", i mobili e i vestiti che avranno preventivamente visualizzato grazie al Computer-Aided Design, avendo preso talvolta soltanto qualche foto da varie angolazioni della cosa da riprodurre e modificare secondo i loro gusti. Addio dunque alle multinazionali e alla grande distribuzione. Jeremy Rifkin celebra l'avvento di «piccoli comuni collaborativi»: in ogni quartiere si troveranno stampanti 3D più performanti di quelle che un semplice privato potrebbe acquistare e manipolare, e in quei luoghi i vicini di casa potranno aiutarsi per fabbricare tutti gli articoli della vita domestica secondo i loro progetti. Questo passaggio al locale è certamente favorevole alla preservazione dell'ambiente naturale: basta con i lunghi tragitti inquinanti per instradare le merci, mai più lontane lavorazioni industriali di cui si può nascondere l'impatto ecologico… Peraltro, i materiali adoperati saranno tutti riciclabili, o almeno così si immagina; e, invece di buttare l'aspirapolvere perché il pezzo rotto non è più venduto dall'azienda produttrice, si potrà ripararlo da sé e limitare gli scarti scaricando da internet il modello e stampando la parte mancante… Questa è la società senza classi del XXI secolo. Essa è salvata dall'Universal Constructor che si riproduce da sé e produce tutto in casa, compresa la stessa casa (cosa che fa già il KamerMaker), gli alimenti (la Nasa lavora a una stampante per pizze da portare nelle sue navette spaziali) e perfino alcuni dei nostri organi (per mezzo del Bioprinting). Il solo piccolo problema, che qui si trascura, è la scomparsa totale dell'abilità che esige mani e mestiere, e la morte della trasmissione, perché il valore dell'oggetto è fondato su un semplice criterio individualistico: lo si è fatto da soli, non lo si è ereditato dai padri. In fondo, la stampante 3D completa la perdita del contatto fisico col mondo. Il suo modo di concepire e di produrre è all'opposto dei gesti attenti dell'artigiano. Procede per "fabbricazione additiva": il modello in tre dimensioni, concepito più con gli occhi che con le mani, è scomposto in strati orizzontali molto sottili, così che l'oggetto è costruito partendo dalla base fino alla cima, come una sovrapposizione di lamelle. Non si prova né il volume né il vuoto: la forma cava si fa facilmente quanto la forma piena. Quanto al materiale, è all'origine sempre liquido (che si tratti di poliestere termoplastico, di metallo in fusione o di polvere di ceramica). Il lavoro non incontra più la resistenza del legno o della pietra. Gli oggetti appaiono come per magia, a partire da un'immagine mentale, così che mentre i programmi digitali li realizzano, i poteri del nostro corpo si virtualizzano e la mano inventiva e l'intelligenza incarnata si seccano: come si può, con un rapporto con il mondo materiale così povero, imparare a rispettarlo diversamente che attraverso altre apparecchiature che lo riducono a una somma di parametri? Ahimè – o grazie a Dio: la stampante 3D non potrà sostituire il caro vecchio laboratorio di papà.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI