sabato 11 giugno 2011
Ti amo da molto tempo. Da quando ti ho visto ho cessato di essere me stessa. Mi sembra che fin dal primo momento ti avrei seguito, se tu mi avessi chiamata; e anche se tu andassi in capo al mondo, ti seguirei sempre.

Il me vit, il m'aima; je le vis, je l'aimai. Si cita spesso questa battuta di un non memorabile scrittore francese del Seicento, Pierre du Ryer: «Mi vide, mi amò; lo vidi, lo amai». È il cosiddetto "colpo di fulmine" che travolge due persone che fino a quel momento si ignoravano e che ora divengono «una sola carne», come si dice nella Genesi (2,24). La donazione d'amore, totale, pura, libera, è vissuta anche dalla Katarina protagonista di uno dei capolavori del drammaturgo russo, Aleksandr N. Ostrovskij, L'uragano (1860), la tragedia di un amore votato al sacrificio sullo sfondo della più tenebrosa provincia russa. Abbiamo appunto evocato oggi le sue parole più intense che mostrano un amore limpido e assoluto, pronto a giungere a quell'apice che Gesù ha tratteggiato in modo folgorante nel Cenacolo, nell'ultima sera della sua vita terrena: «Non c'è amore più grande di chi dà la vita per la persona che ama» (Giovanni 15,13).
L'amore perfetto va anche oltre la legge dell'«amare il prossimo come se stessi» (Levitico 19,18), perché ama l'altro ancor più di se stesso, in una pienezza di dedizione. Proponiamo questo ideale proprio perché brilli ancora mentre siamo immersi nelle nebbie di un comportamento contemporaneo ben diverso. Ormai l'innamoramento è un incontro superficiale, un contatto di pelle e non certo un dialogo di anime. Tutto si consuma ben presto e si riduce a una fra le tante "esperienze". Oppure si rivela un mero possesso che scatena non passione, ma solo gelosia e persino violenza, come spesso accade. È necessario, allora, educare ancora all'amore autentico perché, quando lo si incrocia nell'esistenza lo si scopra in tutto il suo fascino e bellezza, in tutta la sua pienezza vitale.
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