giovedì 27 ottobre 2005
Tutto ciò che l'individuo pensa può essere scritto su un mezzo foglio di carta. Il resto non è nient'altro che applicazioni, divagazioni o girovagazioni all'intorno. È accaduto a tutti durante una conferenza o in una cerimonia ufficiale di fissare con intensità lo spessore dei fogli che l'oratore sta leggendo, al fine di indovinare quanto tempo ci verrà ancora sottratto. La noia da conferenza o da lezione è un classico, anche perché spesso quanto l'oratore non sa darti in profondità te lo rifila in lunghezza. Quella malalingua dello scrittore Mark Twain durante un suo intervento attaccò un ascoltatore: «Caro signore, che Lei ogni tre minuti guardi l'orologio è accettabile; ma che lo porti anche all'orecchio per sentire se funziona o è fermo, mi sembra francamente eccessivo!». C'è, però, una verità che vale per tutti, anche nelle comunicazioni più semplici e quotidiane. Ce la ricorda nella citazione che sopra ho proposto Thomas E. Hulme (1883-1917), critico e poeta inglese. E non a torto. Il più delle volte basterebbe proprio mezzo foglio di carta per dire in modo chiaro ed essenziale un messaggio, un pensiero, un contenuto. Ecco i due aggettivi decisivi, spesso schiacciati dalla valanga delle parole e delle oscurità: «chiaro ed essenziale». Sfrondare i testi dalle divagazioni o dell'enfasi vuol dire andare al cuore dei problemi, al succo della notizia o della verità che si vuole comunicare. Questo vale anche per il parlato: la nebbia della chiacchiera è una sorta di mare in cui ci si bagna con piacere ma dal quale si esce più sporchi di prima. La sobrietà non è solo una virtù della gola nei confronti dei cibi, lo è anche delle labbra riguardo alle parole.
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