mercoledì 3 agosto 2011
Meditare è un'occupazione potente e piena: io preferisco formare la mia anima piuttosto che arredarla.

Nel suo Zibaldone, alla data 5 settembre 1823, Giacomo Leopardi annotava una curiosa etimologia (non so fino a che punto fondata) secondo la quale “meditare” deriverebbe dal latino medeor, che significa “curare, medicare”, per cui - concludeva - «il meditare una cosa è una continuazione del semplice averne o pigliarne cura». Una sana, pacata, quieta riflessione diventa, allora, una vera e propria cura o medicina dell'anima. È un po' anche ciò che propone quel grande pensatore e moralista francese che fu Montaigne nella frase offerta oggi. La meditazione non è, infatti, un imbottire lo spirito di nozioni, curiosità o banalità, come spesso ci accade vivendo esposti alla vita sociale («arredare» l'anima, come dice Montaigne), ma è un plasmarla, un formarla e, se ci sono ferite, un medicarla e curarla.
Meditare per qualche minuto ogni giorno non è tempo perso; anzi, è una sorta di fermento che feconda il nostro pensare e agire, impedendo che si disperdano in vanità e fumo. È una medicazione necessaria soprattutto quando la superficialità ha aperto tante feritoie nella nostra coscienza, lasciando che da esse fuoriescano e si disperdano nel vuoto l'interiorità, la sensibilità morale, l'anelito per la verità. Vi ricordate quando a scuola s'imparavano quei versi di Petrarca: «Solo e pensoso i più deserti campi / vo mesurando a passi tardi e lenti»? Ecco, nell'agitarsi frenetico della società contemporanea, rallentiamo, appartiamoci e pensiamo, anzi, meditiamo…
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