Malinconia e bellezza della nostra Italia
venerdì 13 novembre 2020
C’erano una volta i luoghi. Ora dove sono? Qualcuno sa ancora vederli? Si rende conto di abitarli? Il legame che noi italiani abbiamo con i nostri luoghi naturali e storici è ambivalente. Forse sincero, carnale. Ma anche viziato, inconsapevole, ipocrita. Continuiamo a dire a noi stessi che il nostro luogo, l’Italia, “è un paese meraviglioso”. Ma questa frase è diventata uno slogan da industria turistica, un’industria, in realtà, che ci sarebbe utile, ma che non siamo neppure capaci di gestire bene, perché il nostro territorio, il nostro paesaggio, la nostra natura e il nostro cosiddetto patrimonio storico, unico al mondo per varietà e densità, noi li trascuriamo e li devastiamo. Siamo un popolo estroverso, sensibile alla bellezza, che però deturpiamo, avendo già portato alla rovina le nostre bellezze ereditate. Se ne fossimo coscienti, saremmo capaci di attenzione e di cura. Invece intorno a noi, nelle città e nelle campagne, lungo le coste e sulle nostre montagne a regnare è l’incuria. Ho appena ricevuto un libro di conversazioni di Raffaele La Capria a cura di Giovanna Stanzione il cui titolo, La vita salvata (Mondadori, pagine 168, euro 18,00), fa pensare a un tema centrale di questo scrittore e alla sua idea stessa di letteratura. La Capria, oggi novantottenne, appartiene all’ultima generazione di autori italiani per i quali la geografia italiana, la sua natura, i suoi luoghi hanno avuto un significato caratterizzante. La Liguria di Calvino, il Friuli e la Roma di Pasolini, il Veneto di Andrea Zanzotto e di Goffredo Parise, la Urbino di Paolo Volponi... La presenza dei luoghi, il loro degrado, la fine della loro identità e sacralità fisico–simbolica provocata dal carattere distruttivo di un progresso inteso come sviluppo, creano in La Capria il binomio “bellezza e malinconia”. Dopo aver citato Dostoevskij e Camus sulla funzione morale della bellezza, La Capria dice che «la bellezza esiste per se stessa, ma intanto, distrattamente, come una madre magnanima, salva le nostre anime che si sono mosse alla sua ricerca o contemplazione». Ma conclude: «Il mio sentimento della natura non è più quello di prima (...). È un sentimento che nasce da un’esperienza traumatica fatta da quelli della mia generazione, e solo da loro, in tutta la storia dell’umanità. Solo noi abbiamo vissuto, nel breve arco di una vita, il tempo in cui la natura (il mare, il cielo, la terra) era la stessa che è sempre stata per millenni, e il tempo in cui non è più quella, ed è malata, sofferente, disanimata come il fondo del mare».
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