domenica 30 luglio 2006
Una donna che sale in auto in montagna incrocia un autista uomo che sta scendendo e gli urla con forza dal finestrino: «Maiale!». Al che quello, per non essere da meno, le grida con quanto fiato ha in gola: «Oca!». Se non che, dopo la prima curva che affronta con velocità aumentata dalla rabbia, si trova la strada sbarrata da un enorme maiale che investe con conseguenze rovinose. Eccoci ancora una volta davanti ai soliti flussi migratori delle auto dei vacanzieri e agli immancabili sgarbi, agli insulti, alle prevaricazioni, alle indisciplinatezze e alle violazioni di ogni codice (non solo di quello stradale). Questo apologo, che traggo da un libro già citato qualche settimana fa - Homo sapiens?, scritto da un medico, G. Dobrilla, e da un prete, P. Renner, per l'ed. Ancora - suppone un contesto analogo, ma ci permette una riflessione d'altro genere. L'equivoco nella comunicazione è sempre in agguato: si può, infatti, fraintendere una parola e reagire brutalmente, talora in modo irreparabile. Tutti noi dobbiamo riconoscere che nelle nostre relazioni abbiamo talvolta inserito un'incrinatura proprio attraverso un abbaglio o un malinteso. E forse la ferita non si è più sanata, anche perchè magari - da parte nostra - si è reagito con violenza, innestando una spirale di improperi. Eppure all'origine c'era il nulla, c'era un
puro e semplice sbaglio, persino divertente, oppure - ed è questo il paradosso dell'apologo citato - nientemeno che il desiderio di offrire un aiuto o fare un piacere. È per questo che l'autocontrollo non è mai troppo. Aveva ragione il Salmista quando si proponeva: «Veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua, porrò un freno alla mia bocca» (39, 2). Una parola cattiva detta non muore, anzi, proprio allora comincia a vivere e a far danni.
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