venerdì 30 marzo 2018
«Ipoveri sono matti» scriveva il grande Cesare Zavattini. Di certo non sarebbe giusto inquadrarli in una categoria sociologica come se fossero tutti uguali. L'immagine che ce ne possiamo fare raffigurandoli senza soldi, magari immigrati, privi di un posto dove stare, non sempre corrisponde alla realtà. Ho conosciuto un uomo ospite in un centro di accoglienza il quale possedeva una casa ereditata dai genitori che tuttavia non riusciva a mantenere: disoccupato, aveva difficoltà a coprire le spese condominiali, pagare le bollette, fare la spesa. Certo qualche rotella storta bisognava metterla in conto: si capiva anche soltanto guardandolo, ma evidentemente non si trattava di una situazione così grave da dover richiedere la presenza di un tutore. Era il classico border line che faceva saltare gli schemi. Fino a qualche anno prima aveva insegnato letteratura anglo-americana e nessuno avrebbe potuto credere, se non l'avesse visto, che uno studioso umanista, appassionato di Henry James e Mark Twain, non sapeva sbarcare il lunario. Nel refettorio dove lo incontrai parlammo di Lord Jim e Addio alle armi. Vedevo la sua giacca sporca, il suo sguardo vitreo, la sua mano tremante e pensavo: se non ci fossero queste suore che si prendono cura di lui, che fine farebbe?
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