giovedì 5 gennaio 2017
Sono passati 1400 anni circa dal giorno in cui le orde di Cosroe, temuto invasore persiano, si arrestarono davanti alla basilica di Betlemme, risparmiandola dalla distruzione per aver visto nel prospetto del tempio raffigurati i Magi nel costume persiano. Questo secolo e mezzo non è servito a migliorare l'uomo e neppure le relazioni fra i popoli se, proprio all'inizio di questo 2017, un uomo, avvalendosi di un costume religioso (Babbo Natale), ha consumato la tragedia uccidendo a Istanbul persone inermi.
In una società in cui le immagini viaggiano alla velocità della luce, in cui la comunicazione è immediata da un capo all'altro del globo terrestre, noi a differenza degli antichi Magi siamo incapaci di riconoscere i segni, di rispettarli, di cercare il vero e il bene.
Pensavo a tutto questo mentre contemplavo un affresco conservato nella Pinacoteca di San Francesco a San Marino, recentemente attribuito a Bitino da Faenza, artista minore di origine romagnola. L'affresco offre un singolare messaggio: pur avvalendosi di una iconografia consolidata Bitino sembra regalarci un insegnamento profetico che, forse solo noi oggi possiamo comprendere appieno. La scena è divisa rigorosamente a metà: a destra la luce dorata della stella bagna ogni cosa, gli abiti di Gesù, di Giuseppe, di uno dei Magi, i tronchi degli alberi a sinistra, la basilica alle spalle della Vergine; a sinistra l'oscurità incombe, le chiome degli alberi si distinguono appena e i due Magi che ancora non hanno reso omaggio al re dei Giudei sembrano emergere dalla notte come per incanto. Al centro della scena è collocato un re anziano che si è tolto la corona, ha consegnato il suo dono a san Giuseppe e si presta ad adorare il Bambino con un bacio. Dietro a lui il nulla, il buio, l'incognita. S'individua, è vero, la linea dell'orizzonte, ma rimane anch'essa immersa nella notte più fonda. Bitino, dunque, organizza la scena segnando il contrasto forte tra l'ambiente oscuro e boschivo del viaggio dei Magi e la sicurezza certa della città di Betlemme. Al centro dei due poli sta, appunto, il Cristo Bambino con il re adoratore. È noto che la parola adorare derivi dal latino ad os, cioè portare la mano alla bocca e baciare. Sigillare il cuore dell'opera con un bacio è quindi un potente rimando all'adorazione.
Ed è proprio qui che si cela il messaggio insolito dell'artista: di fronte all'incombere dell'oscurità, che nasconde la malizia di Erode, le trame del potere, le stragi di vittime innocenti, solo il gesto semplice e potente dell'adorazione ci salverà. Così l'antico magio del Bitino resta inginocchiato da secoli, per ricordare a noi che il rimedio ai nostri mali non sta nelle nostre capacità diplomatiche, nelle nostre strutture di difesa o di potere, ma sta nell'affidarsi a Colui che davvero regge le sorti del mondo e la coscienza dei singoli. Forse è tempo di conversione, quella vera, quella scomoda, quella della quale – in fondo – si parla malvolentieri perché obbliga tutti quanti a lasciare i propri piedistalli, a deporre le proprie corone e i propri presunti doni accettando la volontà che viene dall'Alto. Una volontà che sconcerta perché quell'Alto che la decreta veste i panni umili di un bambino.
La stella non si vede nell'affresco, si vedono però gli effetti della sua luce: ciò che si oppone all'oscurità operante è l'edificio che sta dietro la Vergine, cioè lo scorcio di una basilica. Nella Chiesa, direbbe, Eliot è innata la verità, la Chiesa è la vera culla di quel Bambino che dobbiamo ascoltare e la cui Presenza adorata ci salverà.
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