venerdì 16 settembre 2011
Lode: è l'omaggio da noi reso a opere che somigliano alle nostre, ma che naturalmente non le eguagliano.

«Lodate, lodate: questo è il mio consiglio. Non abbiate riguardi, urlate i vostri complimenti in faccia alla gente e ripeteteli anche alle sue spalle, se avete motivo di credere che verranno riferiti». Questa esortazione, presente nella Fiera delle vanità dello scrittore inglese dell'Ottocento, William M. Thackeray, sarà pure ironica ma ha un'indiscussa applicazione nella realtà. Se, infatti, è ben diffusa la calunnia, lo è altrettanto l'adulazione laudativa. Ci sono alcuni che, per ottenere il favore del potente di turno, sono pronti a prostituire l'anima e l'intelligenza. È, questa, una malattia sociale che si ramifica dappertutto, varca anche i recinti ecclesiastici, rende artificiose molte relazioni e riesce a falsare il merito genuino. Se, però, proviamo a scavare anche nella lode autentica, ci imbattiamo in un'altra sottile dimensione, ben illustrata dalla voce «Lode» che abbiamo desunto e tradotto da quel satirico e divertente Dizionario del diavolo, approntato nel 1906 da un sulfureo e avventuriero personaggio americano, Ambrose Bierce.
Ora, se c'è la lode ipocrita dispensata per nutrire la vanità altrui, c'è anche la lode a cui si è costretti a ricorrere, a denti stretti, quando si è di fronte a figure e opere straordinarie. Eppure, sotto sotto, c'è sempre una riserva implicita: sarà pure un grande risultato quello raggiunto da altri, ma noi siamo capaci di valicarlo. Si fa strada il serpente dell'orgoglio che - come ben sappiamo dalla Genesi - non esita a metterci in concorrenza persino con Dio («sarete come Dio»). Attenzione: in agguato c'è, però, anche il ridicolo. Il pur compassato Cicerone non ha resistito a scrivere nel suo De consulatu meo questa autolode: «O Roma fortunata, nata sotto il mio consolato!».
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